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Sagre e feste di paese, ristoratori in rivolta: Senza scontrini è concorrenza sleale

Le variegate e sempre meno ‘autoctone’ feste di paese che si susseguono dal nord al sud della penisola, per gli esercenti somigliano a una vera e propria giungla senza alcuna regola in fatto di scontrini e ricevute. Un ‘paradiso fiscale‘ che determina, stando alle associazioni di categoria, una “concorrenza sleale” che sottrarrebbe ai ristoratori, ancor più in tempi di crisi, incassi da capogiro. A lanciare la provocazione era stato ieri Leopoldo Gerbore, presidente ristoratori Fipe-Confcommercio Imprese per l’Italia Valle d’Aosta e referente Fipe nazionale, che aveva espresso la preoccupazione dei ristoratori nei confronti delle sagre di paese, slegate dal territorio.
E a rincarare la dose ci pensa oggi l’Ascom. Le sagre, spiega Giorgio Bove, presidente dell’associazione dei ristoranti Fepag Ascom Genova, “sono numerose, ogni settimana ne spunta una nuova, durano diversi giorni, fanno incassi che molti locali se li sognano, operando in condizioni diverse dalle nostre e senza controllo. Dove vanno tutti quei soldi? – chiede – Non esistono scontrini e ricevute fiscali. Il fatto è che dietro alle sagre ci sono le pro loco e dietro alle pro loco ci sono i politici. Noi chiediamo chiarezza e il coinvolgimento dei ristoratori in queste iniziative”.
“Chiederemo chiarezza e condizioni uguali per tutti – aggiunge Bove – Non e’ giusto che ristoratori professionisti debbano fare fronte a obblighi normativi e fiscali a cui gli altri non sottostanno. In sagre e feste di partito lavorano volontari, alle sagre non si emettono scontrini e ricevute fiscali”. ”Ma la questione – aggiunge – non riguarda solo sagre e feste, anche tra i bar che offrono servizi di ristorazione non tutti sono in regola, non tutti osservano le norme sulla ristorazione a cui sarebbero tenuti”. “Le sagre di paese sono importanti – afferma il presidente romano della Fipe, Nazareno Sacchi – non vogliamo abolirle ma comunque devono avere le stesse regole che abbiamo noi. C’e’ anche la possibilità di collaborare con loro, perche’ creano movimento, ma per diventare un bene collettivo e’ necessario che ci sia la volonta’”.
La Valle d’Aosta fa storia a se’. Sono almeno 140 le sagre nella regione per un giro d’affari di gran lunga superiore al milione e mezzo di euro, e, a quanto denunciava i ristoratori Fipe, vengono in buona parte sottratti al settore della ristorazione stanziale. In particolare, i ristoratori lamentano una vera e propria concorrenza sleale da parte di queste manifestazioni. “Un sondaggio tra gli associati – spiega Fipe Vda – ha evidenziato che l’82% delle imprese ha dichiarato che nel triennio 2009-2011 ha subito una riduzione del fatturato media del 20%, mentre solo il 18% parla di una sostanziale stabilita’”. Insomma, stando alle parole di Gerbore, “come nel resto d’Italia, anche in Valle d’Aosta le sagre proliferano in maniera sempre piu’ indiscriminata e il legame con il territorio e’ sempre piu’ debole”. ”Mi chiedo – aggiunge il presidente di Fipe Vda – quale legame abbiano con il territorio sagre come quella dell’asado Argentino, del pesce di mare, delle rane (non mi si dica che sono una peculiarita’ valdostana) e le numerose feste della birra ecc”.
L’usanza di organizzare sagre non ‘autoctone’ sembra ormai una realta’ consolidata nel nostro paese tanto che molte hanno superato le cinque edizioni e alcune sono arrivate a festeggiare perfino il decennale. E, in effetti, di sagre “fuori luogo” si trova copiosa letteratura. A cominciare da quella della paella, esportata da Valencia alla realta’ reatina, in quel di Colle di Tora, e nel piacentino, a Bobbio. Ma c’e’ stato anche chi ha ‘osato’ esportare cannoli siciliani e arancini sotto le cime di Stelvio e Gavia, distribuendo le specialita’ sicule a Bormio, in provincia di Sondrio. Nell’entroterra ligure, precisamente a Casella, provincia di Genova, si mangiano all’interno della stessa festa sia lo stoccafisso alla ligure che il ‘porceddu’ sardo, in un vero e proprio scambio gastronomico. La polenta invece e’ di casa a Sermoneta, provincia di Latina, ma il motivo qui e’ storico-culturale: la zona e’ stata luogo di bonifica a inizio del secolo scorso e molte delle persone arrivate nell’agro pontino erano veneti e lombardi, inso