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L’Imu estesa ai beni della Chiesa, il Consiglio di Stato boccia il decreto. Deve essere corretto

L’Imu estesa ai beni della Chiesa, il Consiglio di Stato boccia il decreto. Deve essere corretto

Il Consiglio di Stato ha bocciato il decreto del ministero dell’Economia e Finanze che definisce l’applicazione dell’Imu sugli enti non commerciali, e quindi anche sulla Chiesa. Nella sentenza dei giudici di Palazzo Spada si sottolinea che “non è demandato al Ministero di dare generale attuazione alla nuova disciplina dell’esenzione Imu per gli immobili degli enti non commerciali”.
“Sulla base di tali considerazioni – continua la sentenza – deve essere rilevato che parte dello schema in esame è diretta a definire i requisiti, generali e di settore, per qualificare le diverse attività come svolte con modalità non commerciali”. “Tale aspetto – spiega il Consiglio di Stato - esula dalla definizione degli elementi rilevanti ai fini dell’individuazione del rapporto proporzionale in caso di utilizzazione dell’immobile mista “c.d. indistinta” e mira a delimitare, o comunque a dare una interpretazione, in ordine al carattere non commerciale di determinate attività”.
“Peraltro, si tratta di una qualificazione piuttosto articolata, contenuta in parte nelle definizioni dell’articolo 1 e soprattutto nei requisiti fissati in via generale dall’art. 3 e per i singoli settori dall’art. 4″. “Con quest’ultima disposizione – affermano i giudici di Palazzo Spada – l’amministrazione ha compiuto alcune scelte applicative, che non solo esulano dall’oggetto del potere regolamentare attribuito, ma che sono state effettuate in assenza di criteri o altre indicazione normative atte a specificare la natura non commerciale di una attività”.
Per i giudici di Palazzo Spada, nella definizione dei criteri di convenzione ”in alcuni casi è utilizzato il criterio della gratuità o del carattere simbolico della retta (attività culturali, ricreative e sportive); in altri il criterio dell’importo non superiore alla metà di quello medio previsto per le stesse attività svolte nello stesso ambito territoriale con modalità commerciali (attività ricettiva e in parte assistenziali e sanitarie); in altri ancora il criterio della non copertura integrale del costo effettivo del servizio (attività didattiche)”.
Il Consiglio di Stato sottolinea che “non è questa la sede per verificare la correttezza di ciascuno di tali criteri, ma la loro diversità e eterogeneità rispetto alla questione dell’utilizzo misto conferma che si è in presenza di profili, che esulano dal potere regolamentare in concreto attribuito”. Pertanto, si legge ancora nella sentenza, ”tali profili potranno essere oggetto di un diverso tipo di intervento normativo o essere lasciati all’attuazione in sede amministrativa sulla base dei principi generali dell’ordinamento interno e di quello dell’Unione europea in tema di attività non commerciali”.
Il Consiglio di Stato, dunque, invita a “estrema prudenza nell’individuare lo strumento idoneo a fare chiarezza sulla qualificazione di una attività come non commerciale e tale strumento non appare poter essere il presente regolamento per le ragioni anzidette”.