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La Scozia decide il suo futuro, oggi si vota per l’indipendenza: il 97% dell’elettorato si è registrato al voto

La Scozia decide il suo futuro, oggi si vota per l’indipendenza: il 97% dell’elettorato si è registrato al voto

La Scozia all’appuntamento con la storia. Con l’apertura dei seggi alle 8 (ora italiana) gli scozzesi hanno iniziato a votare per decidere se rimanere nel Regno Unito o staccarsi per sempre da Londra. I seggi chiuderanno alle 23.

“Too close to call”: secondo gli ultimi sondaggi, l’esito è ancora incerto. I “no” risultano in testa con il 52% rispetto al 48% dei “sì” in tre diversi rilevamenti. Ma il calcolo della tendenza riduce ulteriormente la distanza, con gli unionisti al 51% e gli indipendentisti al 49%. Troppo vicini per stabilire chi è stato più convincente, più efficace, nella prospettiva di mantenere o spezzare un’unione politica sancita oltre 300 anni fa. Più che mai quindi gli indecisi saranno determinanti oggi alle urne: sono calcolati tra l’8% e il 14%, preziosissimi per una decisione senza precedenti e dalla quale non si torna indietro.

Soprattutto a loro quindi sono rivolti gli ultimi accorati appelli, l’ultimo sforzo di due campagne che si giocano il tutto e per tutto. Il leader dell’Snp, l’indipendentista Alex Salmond, si è rivolto agli scozzesi con una lettera aperta: «Facciamolo», li ha esortati, «let’s do it». È l’occasione della vita, ripete ancora: «Il futuro della Scozia, del nostro paese, è nelle nostre mani». Poi ha passato la giornata spostandosi in elicottero da un capo all’altro della Scozia, per parlare con tutti faccia a faccia, a conclusione di quella che definisce una «campagna politica straordinaria».

Unica, certo, con una partecipazione che ha pochi precedenti: il 97% dell’elettorato si è registrato al voto. Un record a prescindere dall’esito della consultazione che ha acceso gli animi oltre le aspettative, fino a portare in piazza ieri a Glasgow centinaia di persone al grido di «cambiamo il mondo», con un “sì” urlato come raramente accade nel Regno Unito.

Poco lontano l’ex primo ministro laburista Gordon Brown arringava la sua di folla con un vigoroso appello patriottico: «La Scozia non appartiene ai nazionalisti, ai politici, ad Alex Salmond, ma appartiene a noi». Tornando a mettere in guardia sui rischi della secessione: «Il rischio per il futuro della moneta e il rischio di un default. Dovete votare pensando ai bisogni dei vostri figli», ha scandito, ricordando che la decisione sarà «irreversibile. Se avete qualsiasi dubbio, il vostro voto deve essere un “no”».

Intanto crescono le preoccupazioni anche in Europa

Ufficialmente, la Commissione Ue è entrata in silenzio radio, e risponde con sonori “no comment” a qualunque domanda sulle conseguenze di un’eventuale vittoria del “sì’ al referendum. In realtà, a Bruxelles c’e’ grande preoccupazione: la vittoria degli indipendentisti scozzesi comporterebbe problemi giuridici e politici notevoli, riguardo allo status del nuovo Stato nell’Ue. In passato, la Commissione (e in particolare il suo presidente uscente, Jose’ Manuel Barroso) ha detto chiaramente che uno Stato secessionista staccatosi da un paese membro non potrebbe continuare a far parte dell’Ue come se niente fosse, e dovrebbe richiedere l’adesione e sottoporsi ai negoziati per ottenerla, come qualunque altro candidato. E anche se questo per la Scozia potrebbe avvenire con tempi molto più brevi e meno difficoltà, rispetto a un paese candidato “esterno”, lo scoglio principale non sarebbero i negoziati d’adesione, ma la regola dell’unanimità per l’accettazione del nuovo Stato membro, che dà potere di veto a qualunque altro paese dell’Unione. E’ facile prevedere l’opposizione, se non dal Regno Unito (la separazione dalla Scozia sarebbe perfettamente legale e accettata da Londra, sebbene a malincuore), in particolare da parte della Spagna, che teme il contagio della febbre indipendentista alla Catalogna.

I catalani vorrebbero seguire l’esempio scozzese, ma Madrid non prevede per loro la possibilità di secessione. E ci sono anche altri Stati membri che potrebbero opporre il loro veto, a cominciare da quelli che non hanno mai riconosciuto il Kosovo indipendente dalla Serbia, proprio perché temono il contagio alle minoranze etniche residenti nel proprio territorio: la Slovacchia e la Romania, che hanno forti minoranze ungheresi, e Cipro, ancora divisa in due dall’occupazione turca, e la Grecia, oltre alla stessa Spagna.