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Dalla Svezia all’Olanda sei ore di lavoro al giorno per essere felici. La “rivoluzione” Google

Anna Sette

Potrebbe sembrarvi un sogno, invece per alcuni paesi è quasi realtà. Quest’estate a Goteborg, la seconda città più grande della Svezia, la giornata lavorativa sarà di 6 ore contro le canoniche 8 ore lavorative. La città svedese, infatti, sperimenterà come una giornata di lavoro più breve possa influire positivamente sulla produttività dei propri dipendenti. Alcuni dei dipendenti dell’amministrazione pubblica continueranno regolarmente a lavorare 8 ore al giorno, mentre un altro gruppo soltanto 6 ore; senza per questo vedersi arrivare in busta paga alcuna riduzione dello stipendio. Questo esperimento serve a capire se chi lavora meno ore sia più efficiente e produttivo, e se questo possa allo stesso tempo ridurre lo stress e le assenze per malattia, e quindi a sentirsi meglio mentalmente e fisicamente. Se l’esperimento dovesse avere successo, il nuovo orario di lavoro si esten¬derà a tutti i dipendenti comunali e anche ad altri settori della pubblica amministrazione.

Diversamente invece negli Stati Uniti si lavora più a lungo senza per questo vedere ridotti i livelli di produttività. Eccezion fatta per Google, il cui fondatore Larry Page crede che le persone amino avere più tempo per la famiglia e i propri interessi. Il numero uno di Google crede che per essere felici e vivere meglio, si debba lavorare meno. “Se si pensa alle cose di cui si ha bisogno per essere felici, gli antropologi hanno identificato casa, sicurezza e opportunità per i figli”, ha argomentato Page. Aggiungendo che “l’idea che tutti debbano lavorare freneticamente per soddisfare le esigenze delle persone è semplicemente non vera”.

Un altro uomo d’affari, prima di lui, Richard Branson, ha a lungo sostenuto l’utilità del lavoro part-time, che a suo dire porta benefici a chi lavora, ma anche all’impresa e alla società. Per esempio il magnate inglese, fondatore del Virgin Group, ha cercato a lungo di convincere i datori di lavoro ad assumere due persone a tempo parziale invece di una a tempo pieno, in modo da aiutare i giovani a trovare un’occupazione.
“Se chiedessi ai miei dipendenti ‘vorreste una settimana di vacanze extra oppure una settimana lavorativa di quattro giorni?’, il 100% delle persone alzerebbe la mano per avere una giornata di lavoro da 4 giorni”, ha affermato Page, spiegando che la maggior parte delle persone ama lavorare, ma ama anche avere più tempo per la famiglia o per i propri interessi. Per lui, il problema si potrebbe quindi risolvere riducendo la settimana lavorativa. Ciò che non è chiaro però è la questione salari, perché non parla delle conseguenze economiche per i propri dipendenti. Naturalmente la cosa funzionerebbe solo se si pagassero stipendi uguali o superiori pur lavorando meno ore. Un’ipotesi che secondo alcuni rimane per ora difficile da realizzare, se si pensa all’acceso dibattito in corso negli Stati Uniti per alzare il salario orario minimo.

La cultura americana si sa, è una cultura dinamica ed energica, nel cui dna l’ambizione a essere i numeri uno è ben radicata. Secondo l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) solo nel 2012 gli americani avrebbero lavorato in media 1.790 ore, contro le 1.621 ore degli svedesi, che con il nuovo orario ridotto, invece, lavoreranno per un totale di 1332 ore. Questo significa che questi ultimi lavoreranno meno degli olandesi (che in media lavorano circa 1.381 ore e la cui giornata lavorativa dura 4 giorni) e della Germania, dove la maggior parte dei contratti è part-time. Sempre meno del Regno Unito con 1.645 ore, del Cile (2.029 ore) e del Messico (2.226). Sempre secondo l’Ocse, la produttività non sarebbe direttamente proporzionale alle ore di lavoro, visto che in coda ai Paesi più produttivi ci sono proprio Cile e Messico.

Tornando in Europa, in Germania vanno per la maggiore i mini-jobs, che identificano la formula contrattuale del part-time, un contratto inferiore alle 35 ore (di solito si parla di 21 ore) a tempo determinato, con un reddito medio pari a 30mila euro. Il contratto part-time è stato incentivato con fondi di investimento pari a 5 miliardi di euro, per raggiungere l’obiettivo di portare il tasso di disoccupazione al 5%. Un modello per certi versi simile a quello presente in Giappone. In Olanda invece la settimana lavorativa è di 4 giorni, circa 29 ore di lavoro settimanali per un reddito medio annuale di 35mila euro, che permettono all’Olanda di posizionarsi capofila nella graduatoria stilata dall’Ocse per rapporto tra orario di lavoro e retribuzione. In seconda posizione si trova la Danimarca con 33 ore di lavoro settimanale per un salario medio di 35mila euro. Uno scenario simile lo troviamo in Norvegia, che a fronte di 33 ore di lavoro garantisce un reddito annuale medio di 33mila euro; il welfare qui concede 21 giorni di ferie pagate e 43 settimane di congedo parentale.
Dopo Svizzera (35 ore settimanali e 37.500 euro annui di reddito), Belgio (35 ore e 33mila euro), Svezia (36 ore e 28mila euro) e Australia (36 ore lavorative e 39mila euro di reddito), arriva l’Italia, più indietro rispetto agli altri paesi, ma comunque nella top ten. Nel nostro paese, le ore lavorative settimanali sono 36 e il reddito medio si attesta a 25.500 euro, con 4 settimane di vacanza, ma con un sistema di welfare che vede erodersi gradualmente benefit e garanzie ancora presenti in altri paesi europei. L’Italia quindi finisce fanalino di coda. La domanda qui sorge spontanea. Che forse nel nostro paese ci sia una radicata resistenza al cambiamento? Sembrerebbe di sì. Tutti si lamentano e dicono di voler cambiare le cose, ma nessuno le vuole (o magari non crede di poterle) cambiare davvero.

Tornando alla Svezia invece, non è tutto oro quel che luccica. Nella città di Kiruna in Svezia, dopo un esperimento condotto nel 2005, si è rinunciato alla giornata lavorativa di 6 ore, perché ci si è accorti che diminuendo l’orario di lavoro, aumentava l’intensità del lavoro. Dovendo concentrare il lavoro in meno ore infatti, si è notato un aumento dello stress ed effetti negativi sulla salute dei lavoratori. La produttività cioè aumentava di pari passo con le malattie legate allo stress di un lavoro a ritmi più frenetici.
Allora quest’anno ci riprovano con Goteborg e sperano che questa volta l’esperimento in Svezia vada a buon fine. Così facendo, infatti, credono di poter diminuire i giorni di malattia e aumentare il benessere fisico e psichico dei loro dipendenti. Attenderemo l’esito con ansia.