Malasanità: tragico primato nazionale, Sicilia e Calabria maglia nera

Malasanità: tragico primato nazionale, Sicilia e Calabria maglia nera

I casi di malasanità in Italia sono una triste abitudine oramai e quando viene accertato che gran parte di questi  sono dovuti all‘incuria, alle inefficienze, alle carenze strutturali, il “si poteva evitare” è un’altra espressione alla quale ci si è abituati.
Si stima che in Italia ci siano al mese in media almeno 16 casi di presunta cattiva sanità che vengono ogni volta presi in esame dalla Commissione Errori. Perché di errori spesso si parla, di inefficienze, di disservizi, di strutture al limite e mal funzionanti. 16 casi al mese fanno, sempre in media, uno ogni due giorni. E’ in effetti un dato sconcertante. E se questo non bastasse a dipingere un quadro tragico che investe la sanità italiana, si aggiunga il fatto che secondo la Commissione Parlamentare al lavoro, quasi la metà delle morti è localizzata in due sole regioni: la Calabria e la Sicilia che si piazzano ai primi posti di questa triste classifica con 78 e 66 casi registrati, fotografando un andamento pericolosissimo soprattutto per il sud. Ognuno di questi episodi, riverberato da un’inchiesta giudiziaria e il più delle volte da articoli di giornale, arriva al vaglio della Commissione Parlamentare, presieduta da Leoluca Orlando.
Su 470 casi monitorati, ben 97 si sono verificati in Calabria, 91 in Sicilia, 51 in Lazio, 32 in Puglia, 31 in Campania, 29 in Toscana, 28 in Lombardia, 24 in Emilia Romagna, in 23 Veneto, 20 in Liguria, 10 in Valle D’Aosta, 9 in Piemonte, 7 in Abruzzo, 4 in Umbria, 3 in Marche, Basilicata e Friuli Venezia Giulia, 2 in Molise e Sardegna, 1 in Trentino Alto Adige. Anche per quanto riguarda i decessi, a finire sul podio più alto di questa classifica di morte è la Calabria. Tra gli episodi all’esame della Commissione errori, i morti legati a presunti – presunti finche’ la magistratura non lo accerta – casi di malasanità in terra calabrese sono stati 78. Tanti i decessi anche in Sicilia: 66. Seguono il Lazio con 35 morti, Campania con 25, Puglia con 21, Toscana con 18, Emilia Romagna con 16, Liguria con 14, Veneto con 13, Lombardia con 11, Valle D’Aosta con 9, Abruzzo con 7, Piemonte con 4, Umbria con 3, Friuli Venezia Giulia, Basilicata e Sardegna con 2, Trentino Alto Adige, Marche e Molise con 1.
Sul totale dei 470 casi di malasanità presi in esame, 326 riguardano invece vicende legate a presunti errori da parte dei medici e del personale sanitario. Errori che potrebbero aver causato 223 decessi. Il dato preso su base territoriale, evidenzia che le situazioni più critiche si riscontrano sempre in Calabria e Sicilia. Nelle strutture sanitarie calabresi si contano 82 casi all’esame della Commissione, in Sicilia se ne registrano invece 57, di nuovo il Lazio con 28 casi, Campania e in Toscana, dove si registrano ben 23 casi di presunti errori medici. A seguire: Puglia e Lombardia con 19, Emilia Romagna con 17, Veneto con 15, Liguria con 13, Piemonte e Valle D’Aosta con 6, Abruzzo con 5, Umbria con 4, Marche con 3, Friuli Venezia Giulia e Basilicata con 2, Trentino Alto Adige e Molise con 1. Gli episodi di malasanità non sempre però hanno a che fare con l’errore diretto del camice bianco. Spesso sono figli di disservizi, carenze, strutture inadeguate. Tutte lacune del Servizio sanitario nazionale che la Commissione cataloga come ‘altre criticità’. Su 144 casi totali registrati in tutto il Paese (che potrebbero aver causato 106 vittime), 34 riguardano gli ospedali siciliani, 23 le strutture del Lazio, 15 quelle della Calabria. E ancora: 13 casi si sono verificati in Puglia, 9 in Lombradia, 8 in Veneto e Campania, 7 in Emilia Romagna e Liguria, 6 in Toscana, 4 in Valle D’Aosta, 3 in Piemonte, 2 in Abruzzo e Sardegna, 1 in Friuli Venezia Giulia, Basilicata e Molise. Nota positiva: sono tre le regioni in cui – al momento – non si sono registrati casi di malasanità di tipo, per così dire, strutturale: Trentino Alto Adige, Umbria e Marche.
“A due anni dall’effettivo inizio della sua attività di inchiesta – sottolinea il presidente Orlando – possiamo tracciare un bilancio molto positivo degli effetti prodotti dalla Commissione. In primo luogo la nascita e la crescita della consapevolezza che la tutela della salute, prevista dall’articolo 32 della Costituzione, sia un diritto per i cittadini ma anche un dovere per gli operatori sanitari, da noi continuamente invitati a rivendicare l’esigenza di essere posti nelle migliori condizioni di operare”. Per Orlando, infatti, “troppo spesso casi di malpractice potevano e potrebbero essere evitati, qualora gli operatori provvedessero o avessero provveduto a denunciare spontaneamente anomalie e disfunzioni; ma pratiche purtroppo diffuse di selvaggio spoil system rischiano di indurre l’operatore ad essere più preoccupato di non creare problemi al manager o al politico che procede alla nomina, piuttosto che provvedere, in condizioni di sicurezza per sé e per i pazienti, lo svolgimento della propria attività istituzionale. Riteniamo, dunque – aggiunge – che superare un certo clima di preoccupazioni e di paure diffuso tra i professionisti della sanità ed evitare esempi controproducenti di difesa corporativa siano condizioni indispensabili per un corretto funzionamento del sistema”.
Secondo il presidente della Commissione errori, è però necessario prendere in esame anche altri elementi. “Da un ragionamento sul tema – spiega – dobbiamo, per completezza e correttezza, ricordare che accanto ad esempi di malpractices mediche, si registrano spesso anche casi di ‘mali legali’, ovvero di avvocati che non rispettano regole deontologiche nell’assistere i parenti delle vittime o le vittime stesse degli errori sanitari, così come casi di ‘mali malati’, ovvero pazienti che strumentalizzano eventi negativi non sempre legati a responsabilità personali o gestionali. Ci sono, infine i ‘mali assicuratori’ che non sempre adempiono al loro ruolo e ai loro obblighi in modo tempestivo e adeguato”.