Uno spot ci salverà?

Indovinate. È grande pressappoco come l’Abruzzo, conta meno di due milioni di abitanti e confina con altri quattro paesi. Nell’immaginario collettivo rappresenta il teatro di guerra piu’ vicino all’Europa, l’ultimo capitolo della lunga guerra degli infiniti Balcani. Si dice anche che un’enorme, quanto imprecisata, porzione dei suoi abitanti viva al di fuori dei confini di questa nazione, che a febbraio 2012 celebrerà il quarto anniversario della sua dichiarazione d’indipendenza. Saluti dal Kosovo.

Secondo le prime statistiche fornite dal censimento condotto nel mese di marzo dello scorso anno, finanziato della Commissione Europea, le persone sotto i ventisei anni qui sono più del 65% di tutta la popolazione.

Un dato particolarmente interessante, specialmente considerando un tasso di disoccupazione che supera il 60%, la mancanza di un’economia sostenibile e una fitta rete di connivenze tra politici corrotti, istituzioni deboli e criminalità organizzata (senza menzionare che la classe dirigente alla guida del paese annovera alcuni discussi capi dell’esercito di liberazione, sospettati di aver commesso crimini di guerra). Un forte senso dell’identità etnica e nazionale anima la maggioranza albanese, spesso più incline a coltivare miti e tradizioni del passato che a sviluppare un senso di coerente identità sociale e culturale aggiornata al nuovo status politico del paese. Per mitigare la percezione dell’amara realtà, nel 2009 il governo ha commissionato all’agenzia pubblicitaria Saatchi & Saatchi, al modico prezzo di cinque milioni di dollari, una campagna pubblicitaria per “brandizzare” il paese offrendone una visione positiva caratterizzandolo per la presenza dei giovani Europei. Il tutto mostrato in un video di 60” e in un sito web (http://www.kosovo-young.com). Basterà uno spot a questi giovani Europei per salvarsi dalla disoccupazione dilagante e da un futuro incerto?

Eppure questo luogo ai confini dell’Europa ha mobilitato e continua a interessare la politica estera dei paesi occidentali, che negli ultimi dodici anni hanno investito annualmente centinaia di milioni di euro e dollari, inviando diplomatici, funzionari civili e contingenti militari, organizzando missioni internazionali di pace, di supervisione e rafforzamento dello stato di diritto, sostenendo negoziati e mediazioni, supportando interventi di cooperazione, dialogo e scambio culturale. Uno sforzo che sembra necessario se l’Europa vuole rafforzare i suoi confini e trasformare la debolezza di questa piccola regione chiave. O forse invece la scelta è obbligata: o i Balcani saranno europeizzati o sarà l’Europa a balcanizzarsi. Saluti!