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Spesa pubblica, Monti chiama Bondi per tagliare 4 miliardi. Sindacati e partiti vanno subito in trincea

Dovrà avere una fiera determinazione il commissario straordinario del governo, spalleggiato dal Comitato di revisione, per portare a termine nella maniera più efficace il progetto della spending review. Quale che sarà l’impatto finale del taglio alla spesa pubblica (secondo le stime del governo 5 miliardi per il 2012), l’operazione dovrà passare tra le forche caudine dei partiti, tutti pronti a muovere osservazioni nei confronti di questa iniziativa del governo.

Per rendere operativa la spending review, il governo ha deciso il nome che fino a qualche ora prima era in pole: Enrico Bondi, l’ex risanatore della Parmalat è stato nominato, su proposta del ministro Piero Giarda, commissario straordinario con il compito di supervisionare i tagli alla spesa pubblica. Questi avrà il potere di definire, ”per voci di costo, il livello di spesa per acquisti di beni e servizi da parte delle amministrazioni pubbliche”.

Nella bozza del provvedimento sulla spending review, all’esame del Consiglio dei ministri, si legge che il commissario dovrà inoltre segnalare al Consiglio dei ministri e al consiglio regionale interessato ”le norme di legge o di regolamento o provvedimenti amministrativi di carattere generale che determinano spese o voci di costo delle singole amministrazioni che possono essere oggetto di soppressione, riduzione o razionalizzazione e poropone a tal fine i necessari provvedimenti amministrativi, regolamentari e legislativi”.

Per il coordinamento generale delle attività di spending review è costituito ”il comitato dei ministri per la revisione della spesa pubblica” che sarà presieduto dal presidente del consiglio dei ministri, dal ministro delegato per il programma di governo, dal ministro della pubblica amministrazione, dal viceministro dell’economia, dal sottosegretario della presidenza del Consiglio dei ministri. Il comitato, che sarà costituito presso il ministero delegato per il programma di governo, avrà il compito di ”analizzare la struttura della spesa pubblica, nelle diverse amministrazioni e con la finalità di proporne a razionalizzazione e la riqualificazione”.

Sempre nella bozza si legge che i ministeri dovranno presentare la loro relazione sui tagli di spesa entro il 31 maggio di quest’anno.

La questione dei tagli nella spesa pubblica agita i partiti. L’obiettivo del governo è quello di ottenere dai tagli alla spesa pubblica, previsti dalla spending review, almeno i quattro miliardi che potrebbero far saltare l’annunciata crescita dell’Iva di due punti dal prossimo ottobre. Se si troverà l’accordo, infatti potrebbe non essere necessario aumentarla, evitando quella che da più parti è considerata una misura a rischio depressione, negativa per i consumi e contraria alla richiesta di crescita che da più parti viene posta a Monti.

Ma la questione dei tagli agita i partiti. Nei confronti della spending review, infatti, in queste ore si è andato formando un fronte abbastanza compatto che vede tutti gli schieramenti, di maggioranza e opposizione, impegnati in un ‘pressing’ sul governo e in particolare su Monti per dare ai tagli questa o quella direzione precisa. E’ l’impostazione stessa dell’intervento, insomma, che ognuno rivendica a modo suo.

Tra i più determinati, oggi, a fare sentire la propria voce è stato il segretario del Pd Pier Luigi Bersani, che ne ha parlato nel corso di un tour elettorale a Palermo. “Non credo proprio che ci siano margini per toccare la scuola nell’ambito della spending review. Forse si può parlare di riorganizzazione ma non di tagli, altrimenti ci diamo altre mazzate e pregiudichiamo la crescita. Diciamo da sempre che abbiamo una spesa pubblica squilibrata”, ha chiarito Bersani.

Il leader Pd ha indicato dove la forbice dovrebbe affondare: “Si può incidere sul settore della spesa della pubblica amministrazione, ad esempio l’acquisto di beni e servizi. Ma non si può tagliare su stato sociale o istruzione, sul lavoro e gli investimenti perché altrimenti crolliamo”. Secondo Bersani sono altri i settori che devono mettere mano al portafogli: “Bisogna tassare le transazioni finanziarie, la finanza deve pagare per tutto ciò che ha prodotto”.

Le indicazioni dei democratici combaciano poco, però, con le priorità che il Pdl ha sottoposto al governo in fatto di tagli. “E’ chiaro che bisogna usare i bisturi e non l’accetta -ha premesso Fabrizio Cicchitto-. Mentre possono essere ridimensionate le spese inerenti il personale amministrativo, è necessario prestare molta attenzione a non tagliare le spese per quanto riguarda la sicurezza in quanto tale: quello che sta avvenendo in questi giorni, infatti, sta dimostrando che c’è una emergenza sicurezza rispetto alla quale i cittadini non possono essere lasciati da soli”.

Anche Futuro e libertà ha bacchettato il governo sulla spending review. Italo Bocchino ha subito contestato i termini massimi dell’intervento: “Se il governo taglia solo qualche miliardo di spesa pubblica non è spending review ma spending caress, una carezza al grande carrozzone della pubblica amministrazione che spende 800 miliardi all’anno tra le cui pieghe sono annidati clientelismo, sperpero e corruzione”.

Secondo il vicepresidente di Fli, “limitarsi a una sforbiciata dello 0,5% non serve granché e Futuro e Libertà insiste affinché si punti a un taglio di almeno 40 miliardi. La nostra proposta e’ dimezzare i finanziamenti a fondo perduto alle imprese, risparmiando oltre venti miliardi e trasformando il residuo in credito d’imposta, nonché tagliare i costi per gli acquisti di beni e servizi bloccandoli al 2009, risparmiando così altri 15 miliardi circa”

Anche Francesco Rutelli ha la sua ricetta: bisogna intervenire “sulla pesa sanitaria delle Regioni, sono oltre 110 miliardi, e c’è una quota abbastanza significativa di sprechi -ha detto il leader dell’Api-. Si può anche tagliare sui fondi perduti per le aziende trasformandoli in credito di imposta, e nella finta formazione. Questi tre capitoli che comportano un accordo con le regioni potrebbero portare a risparmi importanti e dunque impedire che ci siano nuove tasse”.

Se questa è l’aria che tira nella maggioranza, figurarsi nell’opposizione: “Quella che sta facendo il governo è una spending review all’acqua di rose, giusto un ritocco di facciata, un buffetto sulle guance di qua e di là per non dare fastidio a nessuno. Non si fa quello che serve davvero, ovvero, agire sul cuore improduttivo e parassitario della spesa pubblica di questo Paese”, ha spiegato Massimo Donadi.