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Pensioni di scorta, quale futuro? La previdenza complementare in una giungla di fondi a basso rendimento

(di Giuliano Cazzola) La previdenza complementare è la Cenerentola del sistema pensionionistico. Lo si e’ avvertito, anche quest’anno come negli anni precedenti dell’attuale legislatura, leggendo la relazione della Covip, l’autorità di vigilanza operante in un settore che si sente dimenticato da un legislatore in altre epoche molto attivo.Gli aderenti ad una forma di previdenza complementare sono 5,5 milioni pari al 24% del totale degli occupati, siano essi dipendenti pubblici e privati o lavoratori autonomi. Due milioni circa sono iscritti ai fondi pensione negoziali istituiti mediante la contrattazione collettiva. Ma la parte del leone la fanno – con una crescita sostenuta ogni anno – i piani pensionistici individuali (i Pip) che, ormai, nelle due tipologie che li contraddistinguono, superano ampiamente il numero di 2 milioni mettendo in evidenza una domanda di secondo pilastro che gli utenti affrontano e risolvono – il che e’ molto significativo – in maniera individuale. Le risorse destinate alle prestazioni, nel 2011, ammontavano a poco più di 90 miliardi, il 58% dei quali investito in titoli del debito pubblico nazionale ed estero. Le forme di previdenza complementare risentono della crisi economica che ha investito, ormai da anni, le famiglie italiane. Lo si i comprende osservando l’uso che gli aderenti fanno della possibilità di usufruire delle anticipazioni sulle posizioni individuali accreditate, anche a costo di sottrarre risorse al montante pensionistico, oltre alla sospensione dei versamenti contributivi addirittura in misura corrispondente al 20% degli aderenti. Emerge, come sollecitato anche dalla Covip, l’esigenza di superare la frantumazione del settore: sono 545 i fondi di cui 400 con meno di 5mila aderenti, 300 con meno di mille, 180 con meno di cento. Tra le difficoltà che incontra la diffusione della previdenza privata a capitalizzazione trova posto anche la concorrenza dei criteri di rivalutazione del TFR (la principale fonte di finanziamento dei fondi) che assicurano, oggi, un rendimento, stabilito a tavolino, del 3,5% a fronte della instabilità di quelli ottenuti sui mercati. Insomma, il settore ha bisogno di idee nuove. Nella riforma Fornero era ipotizzata una prospettiva di ‘opting out’, nel senso di consentire l’uso volontario di alcuni punti sottratti all’aliquota contributiva obbligatoria per sostenere la partecipazione ad un fondo pensione. Ma con questi chiari di luna della finanza pubblica non c’e’ da aspettarsi molto.