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Allarme Confindustria: l’Italia arretra, molti settori rischiano di sparire. Il sisma un colpo micidiale alla competitività

L’Italia soffre la ricaduta recessiva. E anche se mantiene punti di forza manufatturiera nel complesso una parte non piccola del suo apparato produttivo e’ a repentaglio. Ed e’ per rafforzare questo settore, motore della crescita grazie all’innovazione, che serve una moderna politica industriale. E’ il Centro Studi di Confindustria, nel suo report sugli scenari industrali, a sollecitare nuovamente il governo su una strategia di provvedimenti che punti “ad innalzare la capacita’ di innovare, leva principale della competitivita’ di un sistema-paese” che nel manufatturiero ha il suo cuore pulsante, per la quale “servono massicci investimenti” .
Una politica industriale moderna, dunque, come quella messa in campo, dicono ancora gli economisti di Confindustria, dai paesi avanzati ma anche da quelli emergenti “dotati di una visione chiara e di un disegno coerente nel tempo”.
Una politica che “faccia ricorso soprattutto alle leve dal lato della domanda” ma che sopratutto faccia tesoro dei “difetti” di un interventismo ed evitino cioe’ ” la dispersione e l’accavallamento delle iniziative; la moltiplicazione di enti erogatori, programmi, obiettivi e strumenti; scarsita’ delle analisi di impatto e di costi benefici prima, durante e dopo gli interventi; “cattura” delle autorita’ da parte delle lobby; utilizzo elettoralistico dei fondi”. Difetti da cui, appunto, dice il Csc, sono rimasti immuni Germania, Usa, Giappone e le economie dell’est asiatico.
Dai dati diffusi dal Csc, emerge anche come l’Italia perda posti nella classifica mondiale del manifatturiero: arretra fino all’ottavo posto perdendo quote dal 4,5% al 3,3%. In calo anche l’Ue a 15 che pur se nell’insieme resta la seconda potenza industriale mondiale continua a perdere quote passando dal 27,1% al 21%.
“Tra il 2007 ed il 2011 Cina, India e Indonesia hanno conquistato 8,7 punti percentuali di quota di manifattura: dal 18% al 26,7%. La Cina, con 7,7 punti al 21,7%, e’ in vetta alla classifica da un triennio avendo scazato gli usa”, si legge nel dossier degli economisti di viale dell’Astronomia. Tre paesi avanzati reggono, invece l’urto: il Giappone sempre terzo, la Corea del sud, che recupera due posizioni e si colloca al quinto posto con la produzione tornata ai livelli pre-crisi, e l’Australia.
Nel rapporto, poi, si sottolinea come le imprese italiane denuncino un “alto grado di inerzia”: tra il 2000 ed il 2010 la quota di aziende che non ha accresciuto la propria dimensione e’ stato pari al 66% del complesso delle imprese. Soltanto il 16% infatti e’ riuscito ad ‘ingrandirsi’ mentre la crisi ha costretto ad un ‘ridimensionamento’ il 18% delle imprese.
Un appunto, poi, sulle conseguenze del terremoto in Emilia: “Una botta micidiale alla nostra competitivita’. Una ciliegina amara sulla nostra torta”. dice Luca Paolazzi, capo economista del Centro Studi di Confindustria. “Il terremoto ha colpito un’area ad altissima vocazione manufatturiera e cruciale per lo sviluppo del paese, rendendolo se possibile ancora piu’ impegnativo”, si legge nel report sugli scenari industriali presentato oggi. “Tutto cio’ minaccia la stessa sopravvivenza di alcune parti importanti dell’industria italiana, proprio quando e’ accelerato lo spostamento di quote di produzione e di scambi globali verso i paesi emergenti”, dice il Csc.