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Stato-mafia, pesanti accuse di Martelli: “Scalfaro era il dominus delle trattative. Amato ha mentito”

L’ex ministro della Giustizia Claudio Martelli torna ad attaccare l’ex presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, scomparso alla fine di gennaio, per il suo ruolo nella sostituzione degli “uomini chiave della lotta alla mafia” durante la stagione delle stragi ordinate dalla Cupola, nei primi anni ’90 retta dai Corleonesi di Totò Riina.
E’, in sintesi, quanto ha sostenuto in più riprese l’ex Guardasigilli in un’audizione, oggi, davanti alla commissione Antimafia. Martelli, si segnala, avanzò già lo scorso 12 agosto in un’intervista la possibiltà che il defunto presidente emerito avesse agito per la sostituzione “mia, di Scotti e del direttore del Dap, Niccolò Amato, con Conso, Mancino e Capriotti”.
“Non ho mai parlato, in quegli anni, di ‘trattativa – dice Martelli ai commissari antimafia – ma di sicuro ci fu un cedimento dello Stato, non una vera e propria trattativa. Un compromesso dello Stato nel tentativo di fermare le stragi”. Cedimento che, afferma l’ex ministro e delfino di Bettino Craxi ai tempi d’oro del Psi del pretangentopoli, non costituisce un vero e proprio reato “ma un crimine politico sì”.
In quel cedimento, afferma, ebbe ruolo di “dominus Scalfaro, che regnava, non era isolato, aveva intorno a sé uomini a lui devoti, che a lui dovevano il loro ruolo: Mancino, Giuliano Amato, capo della polizia Vincenzo Parisi, quello del Dap Adalberto Capriotti, da lui voluto al posto di ‘quel dittatore di Niccolò Amato’, come scrissero i familiari dei mafiosi al 41 bis”.
Nel corso della lunga audizione Martelli ha avuto modo di ripetere più volte il concetto, insieme ad altre ricostruzioni di quegli anni. “Non so se questa ‘trattativa – dice – sia iniziata prima della strage di Capaci. Ma ricordo bene quando Falcone mi disse, all’indomani dell’omicidio di Salvo Lima, ‘adesso può succedere di tutto’”. D’altronde nel nostro Paese, sottolinea Martelli in un passaggio dell’audizione, “la regola è sempre stata la convivenza” con la criminalità organizzata, “tranne nel periodo in cui ci fu Falcone”.
Martelli cita ancora il giudice ucciso nella strage di Capaci e la sua celeberrima definizione di “menti raffinatissime” dietro le strategie di Cosa Nostra, circostanziando cosa intendesse dire Falcone: “L’area di contiguità tra la mafia che spara e il ‘mondo delle professioni’, l’area grigia di una certa Palermo, più qualcosa che non va nella polizia a Palermo e probabilmente nei servizi: magari non i professionisti dei servizi segreti ma uomini che svolgono quel tipo di lavoro nelle questure”. “Non ho mai parlato, all’epoca, di trattativa, e ancora oggi sono circospetto nell’usare quella parola”, dice sempre Martelli ricostruendo ad esempio il tentativo dei Ros di avvicinare Vito Ciancimino, che “sempre Falcone definì ‘il più mafioso tra i politici e il più politico tra i mafiosi’. Riferii a Mancino – racconta Martelli – di un comportamento anomalo degli ufficiali dei Ros, in particolare del capitano Giuseppe De Donno. Mi dissero che avevano agganciato Ciancimino, allo scopo di evitare le stragi e coltivare piste per la cattura dei latitanti”. Sempre dal capitano dei Ros, prosegue l’ex ministro, venne la richiesta di dotare Ciancimino di passaporto: “Io chiamai il procuratore generale Bruno Siclari, dicendogli che a mio parere eravamo fuori dal seminato. Siclari fece arrestare nuovamente Ciancimino”.
“Non ebbi l’impressione di una vera ‘trattativa’, ma di un comportamento anomalo e non autorizzato, che doveva essere riferito nelle sedi e nei luoghi opportuni, come la Dia. Ne riferii anche a Mancino in un colloquio mattutino al ministero della Giustizia”.
E non, a parere dell’allora ministro, al presidente del Consiglio Giuliano Amato: “A me non parve questione tale – dice Martelli sempre riferendosi al nascente rapporto Ros-Ciancimino – da investire il presidente del Consiglio. Amato aveva detto più volte che la sua priorità era la crisi finanziaria, e la lotta alla mafia era delegata ai ministri competenti”. Martelli riferisce inoltre, passando invece all’avvicendamento dei ministri nel governo Amato del ’92 e ricollegandosi così con la sua tesi del cedimento statale, della sostituzione di Vincenzo Scotti con Nicola Mancino. “Chiamai Amato chiedendone ragione. Mi rispose ‘me lo chiedono il presidente della Repubblica e il segretario della Dc’”, all’epoca Arnaldo Forlani. “Ribattei ‘ma tu sei il presidente incaricato, sei tu a scegliere’. Rispose ‘non scherziamo, il governo non nascerebbe neanche’”.
Alla domanda della Commissione su cosa allora fermò le stragi di mafia, Martelli risponde netto: “Fu la disarticolazione dell’esercito mafioso. L’arresto di Riina, Bagarella e dei fratelli Graviano. La causa principale – afferma – è stata quella”. E “il colpo di maglio ai Corleonesi e alla Cupola – sottolinea – è stata la tenaglia tra pentimento o carcere duro”. Resta fermo, secondo l’ex ministro, “che la regia ci fu. Lo stesso Conso, che mi sostituì, disse che volevano assecondare l’ala moderata della mafia, e pensavano a Provenzano. L’idea era quella di fare fuori il ‘pazzo’ Riina”.