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Intercettazioni, D’Ambrosio poco prima di morire scrisse a Napolitano: Colpiscono lei per colpire me

“Come il procuratore di Palermo ha già dichiarato e come sanno anche tutte le autorità giudiziarie a qualsiasi titolo coinvolte nella gestione e nel coordinamento dei procedimenti sulle stragi di mafia del 1992 e 1993, non ho mai esercitato pressioni o ingerenze che anche minimamente potessero tendere a favorire il senatore Mancino o qualsiasi altri rappresentante dello Stato comunque implicato nei processi di Palermo, Caltanissetta e Firenze”. Così il consigliere giuridico del Quirinale Loris D’Ambrosio, scriveva al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, il 18 giugno scorso, lo stesso giorno che diversi giornali avevano pubblicato, dedicandovi grande spazio e rilievo, i testi di conversazioni telefoniche con il senatore Nicola Mancino, ex ministro dell’Interno ed ex vicepresidente del Csm, intercettate nell’ambito di una indagine della Procura della Repubblica di Palermo.
Il giorno dopo il capo dello Stato scriveva a D’Ambrosio una lettera pubblicata ora per la prima volta nel volume “Sulla Giustizia”, che raccoglie gli interventi del Capo dello Stato e presidente del Consiglio superiore della magistratura tra il 2006 e il 2012. “Caro dottor d’Ambrosio, l’affetto e la stima che le ho dimostrato in questi anni, sempre accresciutisi sulla base dell’esperienza del rapporto con lei, restano intangibili, neppure sfiorati dai tentativi di colpire lei per colpire me. Ce ne saranno ancora, è probabile: li fronteggeremo insieme come abbiamo fatto negli ultimi giorni. E la sua vicinanza e collaborazione resterà per me preziosa fino alla conclusione del mio mandato. Preziosa per sapienza, lealtà e generosità”.
Il 26 luglio scorso D’Ambrosio, a cui Napolitano ha voluto dedicare questa pubblicazione, fu colto da morte improvvisa, per arresto cardiaco. Fu lo stesso Capo dello Stato a darne l’annuncio. Il 18 giugno, dopo che diversi giornali avevano pubblicato, dedicandogli grande spazio e rilievo i testi di conversazioni telefoniche con il senatore Nicola Mancino, intercettato nell’ambito di un’indagine della Procura di Palermo, D’Ambrosio, fortemente colpito dalla presentazione e dall’interpretazione datane con clamore da vari organi di stampa, aveva indirizzato a Napolitano una lettera che ora viene pubblicata insieme alla risposta.
“Ciò non significa che io non comprenda il suo stato d’animo e la sua indignazione (dire amarezza è poco). Le sue condotte, così come le ha ricostruite nella sua lettera -scriveva tra l’altro il Presidente della Repubblica- sono state, e non solo in questi 6 anni, ineccepibili; e assolutamente obiettiva e puntuale è la sua denuncia dei comportamenti perversi e calunniosi -funzionali a un esercizio distorto del proprio ruolo- di quanti, magistrati, giornalisti e politici, non esitano a prendere per bersaglio anche lei e me”.
“Non posso, però, che invitarla -scriveva ancora il Presidente della Repubblica a D’Ambrosio- a uno sforzo di rasserenamento e di ferma, distaccata predisposizione a reagire agli sviluppi della situazione. Traendo conforto anche dall’apprezzamento e dal rispetto che nutrono per lei tutti i galantuomini che operano nel mondo della giustizia o hanno comunque avuto modo di conoscerla e seguirla. Lo sforzo a cui la invito -concludeva Napolitano- non è facile; e lo so perché non solo a esemplari servitori dello Stato, ma anche a politici impegnati in attività di partito e nelle istituzioni, possono toccare amarezze e trattamenti tali da ferire nel profondo. Lo potrà rilevare leggendo qua e là la mia autobiografia politica, che le invio -pur avendone lei forse già copia- come segno di amicizia e fiducia”.