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New York si cambia, si chiude dopo 12 anni l’era Bloomberg. L’italo-americano De Blasio in testa ai favori. Oggi il voto

Dopo 12 anni, e l’eccezionalità di tre mandati consecutivi alla City Hall, New York si prepara a chiudere definitivamente l’era Bloomberg e scegliere un nuovo sindaco.E, nonostante la popolarità trasversale che in questi anni ha raccolto il tycoon prestato alla politica, i newyorkesi appaiono convinti nelle elezioni di martedì a puntare in massa su un candidato, il democraticoBill de Blasio, che ha impostato tutta la sua campagna elettorale su una critica accesa alle politiche del sindaco uscente. Secondo gli ultimi sondaggi infatti il 52enne democratico di origine italiana ha un enorme vantaggio, alcuni parlano del 45%, sul candidato repubblicano Joe Lhota, 59enne ex presidente della Mta, l’azienda dei trasporti newyorkese, ed ex vice sindaco dei tempi di Rudy Giuliani. Se l’esito di martedì viene dato quindi scontato – con l’87% dei newyorkesi ormai convinto che de Blasio vincerà riportando quindi, per la prima volta dal 1993, un democratico alla guida della città considerata una delle più liberal d’America – non era invece per nulla scontata la vittoria alle primarie democratiche di settembre. Il Public Advocate di New York, incarico che ricopre dal 2009 per la tutela degli interessi dei cittadini e la denuncia dei disservizi, infatti non era partito come favorito nell’affollata corsa per la candidatura democratica.

Il programma dell’anti-Bloomberg, che vive a Brooklyn con la moglie afroamericana Chilrane McCray ed i figli Dante e Chiara che vanno alla scuola pubblica e non a quelle private dei figli dell’elite di Manhattan, veniva considerato troppo liberal e ‘di sinistra’: aumento delle tasse ai cittadini più ricchi, per poter finanziare asili e programmi di doposcuola per i tanti newyorkesi meno abienti. Anche il New York Times gli aveva preferito un’altra candidata, Christine Quinn, primo presidente gay dichiarata del Consiglio comunale cittadiano, per mesi considerata la favorita. Mentre ora, in un endorsement ufficiale pubblicato nei giorni scorsi, riconosce che de Blasio ha dimostrato “di essere più bravo nel raggiungere gli elettori e nel difendere le sue idee”. Idee che sono “buone”, sia sul piano della sicurezza, dove ha contestato la politica “stop and frisk” degli arresti facili dell’attuale amministrazione, che nel battersi a favore di affitti a prezzi abbordabili e una migliore istruzione per tutti.Una delle carte vincenti di De Blasio, che ha coinvolto la sua famiglia multietnica nella campagna elettorale, è stata la capacità di attirare il sostegno delle minoranze, ed in particolare dei ceti più poveri delle metropoli di 8,3 milioni di abitanti, il 21,2% dei quali vivono sotto la soglia della povertà.

Slogan centrale della campagna è stato quello della “tale of 2 cities”, dal titolo del romanzo di Charles Dickens, cioè il racconto delle due città in cui è spaccata New York, con la Manhattan dei lussi e dei costi stellari che hanno fatto scendere il numero degli abitanti ad 1,6 milioni e costretto moltissime persone a trasferirsi negli altri 4 boroughs negli ultimi 10 anni. Da parte sua, Bloomberg – tacciato come “il sindaco dei bianchi” che sono un terzo della popolazione newyorkese – ha con tenacia difeso le sue politiche economiche, affermando che hanno favorito tutti i settori della città dove anche la fascia di reddito più bassa, che corrisponde al 20% della popolazione totale, è a livelli più alti di quasi ogni altra città. Sotto accusa anche le politiche di sicurezza del sindaco uscente, che è entrato in carica come repubblicano e diventato poi indipendente, e che da mesi sta impegnando forze e risorse finanziarie in una campagna per maggiori controlli sulle armi. Le minoranze, che poi sono complessivamente maggioranza a New York, non gli perdonano l’aumento esponenziale che si è avuto in questi anni della pratica dello “stop, question e frisk”, gli arresti facili che colpiscono soprattutto neri o ispanici, saliti dai 100mila del 2002 ai 700mila del 2011.