F1: Grave incidente per Bianchi in Giappone, è in pericolo di vita. Il padre: “La situazione resta critica, ma Jules può farcela. Deve farcela”
«Le corse sono una cosa pericolosa» c’è scritto in tutti i circuiti britannici. Un po’ come sui pacchetti di sigarette. Ieri a Suzuka tanta sfortuna e qualche errore come quasi sempre avviene quando accade un incidente drammatico hanno ricordato a tutti in mondovisione che non esiste sicurezza assoluta quando si vive a 300 km/h. Il giovane francese Jules Bianchi è ricoverato in terapia intensiva nell’ospedale giapponese vicino al circuito di Suzuka dove i medici lo hanno operato alla testa per ridurre l’entità di un vasto ematoma celebrale. Jules è in coma, ha perso conoscenza dopo lo schianto continuando però a respirare da solo; le sue condizioni sono molto gravi e i sanitari non hanno emesso alcun bollettino medico.
Nell’aria, però, c’è un filo di speranza, mentre le immagini dello schianto, l’affannarsi dei soccorsi e le facce piene di terrore dei commissari avevano ricordato da vicino la tragedia recente di Simoncelli e quella più antica di Ayrton Senna. L’intervento sembra riuscito e non è stato nemmeno lunghissimo e pare che il ragazzo riesca a respirare senza l’aiuto delle macchine. «La situazione resta critica, ma Jules può farcela. Deve farcela», ha spiegato il papà Philippe, il primo anche a raccontare che il figliolo era finito sotto i ferri. L’incidente è stato terrificante, ma la Federazione finita nella bufera non ha diffuso le immagini dell’impatto, ci sono solo le foto del rottame dopo lo schianto con ancora il pilota nell’abitacolo. Era da poco ripreso a piovere e passato il 40° giro quando la Sauber motorizzata Ferrari di Adrian Sutil è uscita alla curva 7 picchiando contro le barriere. Via di fuga adeguata, protezioni giuste, il tedesco è uscito dall’abitacolo e i commissari hanno iniziato a sventolare la doppia bandiera gialla, quella che obbliga a ridurre sensibilmente la velocità poiché c’è una situazione di notevole pericolo.
Il direttore di corsa Charlie Withing ha invece ritenuto che non fosse necessario mandare in pista la safety car e, come sempre avviene, un trattore si è avvicinato alla Sauber per trainarla in un punto fuori traiettoria. In quel momento, sotto una pioggia ormai battente e con la luce del tramonto ombrata dal nubifragio, è arrivato Jules troppo veloce ed ha perso il controllo del suo bolide nello stesso punto di Sutil. La Marussia impazzita è andata dritta, ma invece di impattare su un morbido mucchio di gomme si è infilata sotto il pesante ruspone d’acciaio. Il volto pallido di Adrian inquadrato dalle telecamere era la spia della violenza dello scontro. I commissari lasciavano la Sauber e, ancora prima di soccorrere il pilota, facevano ampi segni di bloccare la corsa perché la situazione era disperata. Solo a quel punto la direzione corsa spediva in pista la safety car, la medical car e l’ambulanza. Poi sventolava la bandiera rossa richiamando ai box i piloti che erano già stati avvertiti via radio della gravità dell’accaduto.
«Non parlo per rispetto della vita di Jules» erano le sole parole di Sutil che allontanava i microfoni. La Marussia è distrutta soprattutto sul posteriore, ma resta da scoprire con che angolo l’auto abbia impattato sul trattore. La parte alta non esiste più, sporge solo il casco del povero pilota: una scena raccapricciante, ma anche un miracolo. L’ambulanza ha rapidamente trasportato il pilota al Centro medico, ma era evidente che si trattasse di una tappa intermedia viste le condizioni. Veniva preparato l’elicottero, le pale già giravano, ma si decideva di andare via strada vista la vicinanza dell’ospedale e, soprattutto, il maltempo e l’oscurità. Chiaramente niente champagne sul podio a facce preoccupatissime dei piloti per la sorte del compagno. Quasi nessuno ha voluto parlare della corsa, mentre sono divampate le polemiche per quanto accaduto. Il più duro Felipe Massa rimasto per giorni in coma a Budapest dopo aver ricevuto in testa un ammortizzatore di Barrichello: «Una follia, dovevano fermarci prima: erano almeno cinque giri che chiedevo di interrompere la corsa».
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