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Minacce a Saviano e Capacchione, assolti i boss, condannato il loro avvocato. Saviano: “I Casalesi non sono imbattibili, non sono invincibili e la sentenza lo dimostra”

Minacce a Saviano e Capacchione, assolti i boss, condannato il loro avvocato. Saviano: “I Casalesi non sono imbattibili, non sono invincibili e la sentenza lo dimostra”

Assolti i boss Antonio Iovine e Francesco Bidognetti per le minacce allo scrittore Roberto Saviano e alla giornalista e parlamentare Pd Rosaria Capacchione. I due boss sono stati assolti “per non aver commesso il fatto”. Ai due era contestata anche l’aggravante della finalità mafiosa. L’avvocato Michele Santonastaso è stato condannato a un anno di reclusione, con pena sospesa, per minacce aggravate dalla finalità mafiosa. I pm avevano chiesto alla terza sezione penale del tribunale di Napoli la condanna a un anno e sei mesi per Bidognetti e l’assoluzione per Iovine, che ora è collaboratore di giustizia. Santonastaso è stato condannato a risarcire i danni a Saviano e alla Capacchione e all’Ordine dei giornalisti della Campania, costituitisi parte civile al processo. Stabilita anche una provvisionale di 20mila euro alla giornalista

“”Vittoria a metà. Riconosciute minacce camorriste fatte da Santonastaso. Assolti i boss, guappi di cartone, nascosti dietro il loro avvocato”. Lo scrive su twitter Saviano commentando la sentenza. “Non sono imbattibili, non sono invincibili e la sentenza lo dimostra. I casalesi si dimostrano per
l’ennesima volta dei guappi di cartone perchè si sono nascosti dietro un avvocato”, così Saviano, che ha aggiunto “Dare la scorta a chi scrive significa permettere di scrivere e garantire un diritto costituzionale. Spero che questa sentenza possa essere un primo passo verso la libertà, che ora ci possa essere una mia vita nuova. L’Italia è un Paese complicato, non ho la sensazione che la battaglia antimafia sia una priorità”.

“Si è trattato comunque di una condanna mai vista prima. L’avvocato del boss minaccia i giornalisti nel processo al fine di favorire il clan. Un pezzetto di storia”. Questo il commento dell’ex pm della Dda di Napoli Antonello Ardituro, attualmente al Csm, che ha condotto l’inchiesta e ha seguito il dibattimento fino alla requisitoria.

Clima teso, e le difese lanciate all’assalto, nell’ultima fase del processo sulle minacce avanzate dal gotha dei casalesi – minacce che l’accusa ritiene “aggravate dalla finalità mafiosa” – contro Saviano e la Capacchione. Sul banco quattro imputati, i due padrini Francesco Bidognetti (collegato anche oggi in video conferenza da un carcere italiano di massima sicurezza) e Antonio Iovine (ormai pentito), insieme con i loro avvocati di allora, Michele Santonastaso (travolto nel frattempo da altre accuse di collusioni) e Carmine D’Aniello.

L’aula 116, al pian terreno di Palazzo di Giustizia , è gremita. A rappresentare la pubblica accusa, il pm antimafia Cesare Sirignano. Ma a chiedere la condanna (1 anno e 6 mesi) per gli imputati Bidognetti, Santonastaso e D’Aniello era stato il sostituto procuratore della Dda, Antonello Ardituro (oggi al Csm), assoluzione chiesta invece per Iovine, per insufficienza di prove.

È arrivato tra i primi in mattinata Saviano, assistito dall’avvocato di parte civile Antonio Nobile, seguito poco dopo dalla Capacchione, accanto al suo legale Vittorio Giaquinto. Si comincia con l’ultima parte dell’arringa dei difensori, poi è prevista la camera di consiglio del collegio e per il pomeriggio è attesa la sentenza.

“Sono da condividere molte iniziative dello scrittore Saviano e lo spirito con cui si batte, ma qui, in questo processo, noi pretendiamo che valgano le regole del processo – attacca dunque l’avvocato Rizziero Angeletti, difensore dell’avvocato Santonastaso e già protagonista di accesi duelli con la parte lesa, Saviano – Quell’istanza di remissione fu un’azione processuale e non un atto di violenza o prevaricazione. Pretendiamo che qui si applichino le regole del processo. Quindi non era un atto di “fuorigioco”, tantomeno di violenza verbale o minacce. Ma qui norme e regole non sono valse, per alcuni magistrati dell’ufficio della pubblica accusa”.

Angeletti premette alla corte: “Voi non siete i giudici naturali , doveva essere competente il Tribunale di Roma”, poi denuncia così che si è voluto “demonizzare il lavoro dell’avvocato Santonastaso”, poi cita l’analisi di Eugenio Scalfari sul peso di questo processo volendo evidentemente lamentare l’”aspettativa di adeguata sanzione”.

Fino a ironizzare sull’opinione di Saviano che oggi, nell’edizione di “Repubblica Napoli”, aveva parlato di un procedimento unico per le modalità di relazioni fotografare tra i capimafia e la stampa, e per le circostanze che l’accusa metteva a fuoco: quindi processo “epocale”. Ma il difensore dell’avvocato, ritenuto troppo vicino al boss e alle logiche criminali, cita male l’intervista e parla criticamente di attesa per una “sentenza (e non di processo) epocale”.

Conclude Angeletti: “Le difese, contrariamente a quanto detto dal pm nella sua requisitoria, non sono state né grezze né sciatte e non è vero che hanno raggiunto risultati sterili. Io, signori giudici, ho riletto quell’istanza di remissione. e non ho trovato nessuna accusa, nessuna minaccia”