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Minacce a Saviano, il giornalista torna in aula. Gli avvocati dei boss alla Corte: “Doveva essere competente il Tribunale di Roma”

Minacce a Saviano, il giornalista torna in aula. Gli avvocati dei boss alla Corte: “Doveva essere competente il Tribunale di Roma”

Stoccate dure alla pubblica accusa, attacco alle “cadute di stile” di Roberto Saviano, e perfino alle testate, come “Repubblica”, o alle trasmissioni televisive che osano riportare le sue opinioni e la sua lettura dei fatti.

Clima teso, e le difese lanciate all’assalto, nell’ultima fase del processo che si celebra a Napoli, dinanzi alla Terza sezione penale, sulle minacce avanzate dal gotha dei casalesi – minacce che l’accusa ritiene “aggravate dalla finalità mafiosa” – contro lo scrittore Roberto Saviano, e la giornalista Rosaria Capacchione. Sul banco quattro imputati, i due padrini Francesco Bidognetti (collegato anche oggi in video conferenza da un carcere italiano di massima sicurezza) e Antonio Iovine (ormai pentito), insieme con i loro avvocati di allora, Michele Santonastaso (travolto nel frattempo da altre accuse di collusioni) e Carmine D’Aniello.

L’aula 116, al pian terreno di Palazzo di Giustizia, è gremita. A rappresentare la pubblica accusa, il pm antimafia Cesare Sirignano. Ma a chiedere la condanna (1 anno e 6 mesi) per gli imputati Bidognetti, Santonastaso e D’Aniello era stato il sostituto procuratore della Dda, Antonello Ardituro (oggi al Csm), assoluzione chiesta invece per Iovine, per insufficienza di prove.

È arrivato tra i primi in mattinata Saviano, assistito dall’avvocato di parte civile Antonio Nobile, seguito poco dopo dalla Capacchione, accanto al suo legale Vittorio Giaquinto. Si comincia con l’ultima parte dell’arringa dei difensori, poi è prevista la camera di consiglio del collegio e per il pomeriggio è attesa la sentenza.

“Sono da condividere molte iniziative dello scrittore Saviano e lo spirito con cui si batte, ma qui, in questo processo, noi pretendiamo che valgano le regole del processo – attacca dunque l’avvocato Rizziero Angeletti, difensore dell’avvocato Santonastaso e già protagonista di accesi duelli con la parte lesa, Saviano – Quell’istanza di remissione fu un’azione processuale e non un atto di violenza o prevaricazione. Pretendiamo che qui si applichino le regole del processo. Quindi non era un atto di “fuorigioco”, tantomeno di violenza verbale o minacce. Ma qui norme e regole non sono valse, per alcuni magistrati dell’ufficio della pubblica accusa”.

Angeletti premette alla corte: “Voi non siete i giudici naturali, doveva essere competente il Tribunale di Roma”, poi denuncia così che si è voluto “demonizzare il lavoro dell’avvocato Santonastaso”, poi cita l’analisi di Eugenio Scalfari sul peso di questo processo volendo evidentemente lamentare l’”aspettativa di adeguata sanzione”.

Fino a ironizzare sull’opinione di Saviano che oggi, nell’edizione di “Repubblica Napoli”, aveva parlato di un procedimento unico per le modalità di relazioni fotografare tra i capimafia e la stampa, e per le circostanze che l’accusa metteva a fuoco: quindi processo “epocale”. Ma il difensore dell’avvocato, ritenuto troppo vicino al boss e alle logiche criminali, cita male l’intervista e parla criticamente di attesa per una “sentenza (e non di processo) epocale”.

Conclude Angeletti: “Le difese, contrariamente a quanto detto dal pm nella sua requisitoria, non sono state né grezze né sciatte e non è vero che hanno raggiunto risultati sterili. Io, signori giudici, ho riletto quell’istanza di remissione. e non ho trovato nessuna accusa, nessuna minaccia”