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Quirinale, il 14 gennaio Napolitano presenterà le sue dimissioni. Renzi, “Il nuovo Presidente deve essere scelto con settimane di anticipo”

Quirinale, il 14 gennaio Napolitano presenterà le sue dimissioni. Renzi, “Il nuovo Presidente deve essere scelto con settimane di anticipo”

Nel calendario istituzionale del nuovo anno c’è una sola data certa da cerchiare in rosso: il 14 gennaio Giorgio Napolitano si dimette da capo dello Stato. Il presidente lo ha fatto capire anche ieri nei due distinti incontri che ha avuto con Matteo Renzi e con Angelino Alfano. Al premier avrebbe fatto piacere ascoltare altre parole accarezzando l’ipotesi di un rinvio anche minimo per facilitare la corsa dell’Italicum al Senato, ultimo scoglio prima dell’approvazione definitiva visti i numeri larghi di Montecitorio. “Ha insistito molto, ma prima. Da tre settimane ha smesso di chiederci una proroga anche piccola”, raccontano le fonti del Colle.

In questo modo, nonostante le rassicurazioni di Berlusconi e la spinta di Renzi per non far coincidere i tempi, le due partite, legge elettorale e voto per il successore di Giorgio Napolitano rischiano di sovrapporsi. E di complicare l’una e l’altra cosa. Lo si capisce bene leggendo il Mattinale, rubrica quotidiana a cura di Renato Brunetta. Per il capogruppo di Forza Italia, nemico del patto del Nazareno, Napolitano dovrebbe dimettersi il 31 dicembre, mercoledì prossimo. Perché quello è il giorno della fine del semestre di presidenza italiana in Europa. “Non il 13 gennaio che è sola la data per il bilancio del semestre davanti al Parlamento Ue”, scrive Brunetta. Non è altro che un modo per dire che prima vengono le garanzie offerte dal nuovo presidente della Repubblica e poi si dà il via libera alla riforma elettorale. Non è certo questa la linea del leader azzurro, ma sono dichiarazioni che rendono bene l’idea del livello dello scontro possibile.

Renzi si dice tranquillo, ma non vuole ballare per un mese intorno ai candidati per il Quirinale. “Il presidente lo si sceglie 4 giorni prima della seduta congiunta delle Camere, non parecchie settimane in anticipo”, spiega ai suoi collaboratori. “Non dimentichiamoci come uscì il nome di Napolitano nel 2006″. All’ultimo minuto cioè dopo una serie di veti incrociati. Semmai il quadro sembra ora più favorevole e andrebbe colto soprattutto dal Partito democratico, pensa il premier. È tale da non lasciare molto spazio ai franchi tiratori. “L’apertura di Berlusconi è un occasione. È chiaro che vuole rimanere dentro il processo delle scelte”, ripete l’ex sindaco di Firenze ai suoi interlocutori riferendosi all’intervista di Repubblica. Aumentano le responsabilità del Pd e con essa le chance di indicare per primi il nome giusto. Oppure il rischio catastrofico di far fallire un passaggio cruciale. “Berlusconi non mette veti e per questo io dico che nemmeno noi possiamo farlo spiega il premier -. Un presidente del Pd è fattibile. Ma non sappiamo ancora chi. Vedremo più avanti”.

Il “chi”, dal discorso di Capodanno in avanti, sarà però sempre più al centro del confronto. I nomi di riserve della Repubblica, politici, non politici, outsider sono stati fatti praticamente tutti. Uno di loro per esempio se la ride. Romano Prodi non se l’è presa più di tanto per l’uscita di Nichi Vendola che lo ha lanciato chiedendo i voti al Partito democratico e provando a spaccare i gruppi parlamentari del Pd. “Io non sono interessato ha scritto celiando in un sms spedito a un amico democratico – ma è meglio essere bruciati subito e non alla fine com’è successo nel 2013″. In realtà, come tutti quelli che negano, il Professore resta a guardare e non si può ancora giurare che sia fuorigioco. Come non lo è Giuliano Amato, un candidato escluso dai renziani all’inizio per non smentire la fama del nuovo corso Pd, quella dei rottamatori. Ma che in molti sono pronti a sostenere, da Silvio Berlusconi che lo ha citato in maniera esplicita, a Massimo D’Alema che controlla o controllerebbe un certo numero di grandi elettori del Pd. E se Renzi si è convinto che al Quirinale non serve un notaio ma una sponda importante, Amato è un candidato che ha il profilo per raccogliere i consensi necessari, tanto più a partire dalla quarta votazione in cui basta il quorum a maggioranza semplice. Nomi veramente bruciati quindi non ce ne sono. E possono tornare di moda, nei fatidici “quattro giorni prima ” di cui parla Renzi.