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Attacco a Parigi, si cercano altri sei complici. La moglie di Coulibaly avvistata in Siria

Attacco a Parigi, si cercano altri sei complici. La moglie di Coulibaly avvistata in Siria

L’appartamento è in fondo al cortile. Sono due locali piccoli, senza luce, che i genitori di Hortense affittano a settimana. «Questo è il posto più tranquillo della città» dice. L’ultimo inquilino, con rata già versata per il periodo che andava dal 4 all’undici gennaio, si chiamava Amedy Coulibaly. Nella dependance di questa casa di Gentilly, periferia Sud di Parigi, grandi viali che portano verso place d’Italie costeggiati da piccole piazze, l’uomo che ha ucciso una vigilessa e quattro ostaggi nella drogheria Hyper Cacher ha girato il suo video di congedo dal mondo.
Quelle immagini decretano la fine della speranza che questa vicenda rappresenti un circolo chiuso. Qualcuno ha messo in Rete il video domenica mattina, quando Coulibaly era morto da ormai 48 ore, e ha scritto il bilancio finale dell’attacco montandolo con lettere maiuscole che scorrono all’inizio del filmato, girato nei giorni di mezzo tra il massacro a Charlie Hebdo e il suo assalto a Port de Vincennes. E certo non può essere stato l’attentatore ad aver ripreso gli esterni della drogheria kosher dove era rinchiuso e da dove non sarebbe uscito vivo.

Dunque, il quarto uomo, ma anche di più. Il primo ministro Manuel Valls ne ha confermato l’esistenza, «senza alcun dubbio», ma la lista non è certo chiusa. La Polizia afferma che potrebbero esserci altri sei presunti complici in libertà, uno dei quali sarebbe la persona che ha portato Coulibaly davanti alla drogheria kosher guidando la Mini Cooper intestata a Hayat. Si cerca vicino, molto vicino, con i collegamenti internazionali che al momento restano soltanto sullo sfondo, come ipotesi. Ieri la filiale magrebina di Al Qaeda ha nuovamente minacciato la Francia, che subirà «il peggio» fino a quando continuerà a inviare soldati in Africa e i suoi disegnatori a insultare il Corano. Ma la cellula domestica che ha pianificato i massacri di Charlie Hebdo e dell’Hyper Cacher è cresciuta all’ombra dei jihadisti parigini di prima generazione e il fatto che sei delle dieci persone condannate nel 2010 per il tentativo di evasione di Alì Belkacem, uno degli autori degli attentati alla metropolitana del 1995, siano ancora in libertà non è dettaglio da nulla. Il filo che unisce i fratelli Kouachi a Coulibaly è proprio quel progetto. Non è un caso che ieri gli esperti dell’antiterrorismo siano andati al carcere di Rennes per sentire Djamel Beghal, il «fine teologo», parola dei diretti interessati, che tanta influenza avrebbe avuto soprattutto su Coulibaly, all’epoca un novizio, dell’Islam e della jihad.

«Da quando sono uscito di prigione mi sono molto mosso, ho girato le moschee di Francia e della regione di Parigi». Nel suo video-testamento Coulibaly lo dice senza giri di parole. A partire dal marzo 2014, quando finì di scontare la pena per l’inchiesta del 2010, si è dedicato al proselitismo, frequentando molti luoghi di culto per cercare di convincere i giovani fedeli a una svolta radicale. Aveva in pratica ricominciato un lavoro interrotto dall’arresto, perché anche negli atti del 2010 è documentata la sua opera costante alla ricerca di nuovi adepti. Eppure l’uomo della seconda strage ha potuto frequentare queste moschee, che secondo i dettami dell’antiterrorismo dovrebbero essere ben sorvegliate, senza che nessuno lo notasse. L’esistenza di eventuali complici gira intorno alla figura del terzo stragista, un cane sciolto, come lo ha definito il suo ex avvocato, passato dalla delinquenza comune all’estremismo islamico in pochi mesi, durante la primavera del 2010. Coulibaly è ancora un enigma. A cominciare dai suoi ultimi giorni, spesi in un bizzarro training autogeno che oltre al ferimento di un uomo colpito mentre faceva jogging a Fontenay-aux-Roses potrebbe comprendere anche un’autobomba nelle strade di Parigi, come sostenuto con orgoglio nel video. L’unica vettura saltata per aria in questi giorni è una vecchia Kangoo parcheggiata da tempo davanti a un garage Renault di Villejuif, in periferia. Gli investigatori stanno cercando di capire se si tratta dello stesso esplosivo ritrovato all’interno dell’Hyper Cacher. Tante operazioni e troppi misteri, per un uomo solo.