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Riforma delle Pensioni, cancellato il minimo sindacale di 500 euro. Con mille euro netti e meno di 40 anni di contributi un trentenne ne avrà 400

Riforma delle Pensioni, cancellato il minimo sindacale di 500 euro. Con mille euro netti e meno di 40 anni di contributi un trentenne ne avrà 400

Una pensione da 502 euro al mese non è certo invidiabile. Eppure per molti lavoratori, l’attuale minimo sindacale della previdenza rischia di essere solo un miraggio. Anche se il vitalizio sarà molto basso in futuro non si aprirà più alcun paracadute, la famosa integrazione al minimo da parte dello Stato è già andata (è il caso di dirlo) in pensione. Così, ad esempio, un dipendente trentenne che oggi ha un reddito netto mensile di mille euro e che accumulerà forti buchi contributivi, prenderà appena 408 euro netti il mese, cioè quasi cento in meno della soglia minima attualmente in vigore. Un autonomo nella stessa situazione arriverà ad appena 341 euro netti il mese.

Esempi

Secondo i dati resi noti nei giorni scorsi dall’Inps, sono circa 51 mila i vitalizi liquidati sinora con il sistema contributivo introdotto dalla riforma Dini del 1995; praticamente sono tutti d’invalidità o reversibilità, perché per quelli di vecchiaia bisognerà aspettare ancora qualche anno. Ma è bene fin da subito cominciare a fare i conti, drammatici, con il nuovo metodo di calcolo.
Le simulazioni realizzate per CorrierEconomia dalla società di consulenza Progetica presentano le prospettive che attendono i lavoratori con redditi limitati e una forte discontinuità nel versamento dei contributi. È un fenomeno destinato a crescere, anche a causa della maggior flessibilità nel mercato del lavoro che sarà prodotta dal Job Act, varato dal governo. «Si tratta tipicamente di chi riesce a mettere insieme tra i venti e i trentacinque anni di contribuzione, invece degli oltre quaranta richiesti, e ha un reddito di mille euro netti il mese – spiega Andrea Carbone, partner di Progetica -. Per questi lavoratori la pensione raramente supererà i cinquecento euro il mese: a differenza dei cinquantenni delle simulazioni, che hanno iniziato prima della legge Dini del 1995, non avranno alcun paracadute. Il sistema contributivo, infatti, non prevede l’integrazione al minimo, che negli esempi porta a un vitalizio di cinquecentodue euro netti al mese».

La busta

In attesa della busta arancione che offre una proiezione della futura pensione, le elaborazioni di Progetica danno un’idea delle prospettive che si aprono per alcuni profili di lavoratori. Così, per esempio, un trentenne che ha appena cominciato a lavorare con un reddito netto di mille euro al mese, a 65 anni e nove mesi avrà un vitalizio di 514 euro (cioè il 51%) se la sua retribuzione rimane stabile nel corso del tempo e il nostro paese non esce dalla recessione in cui si dibatte da molti anni. L’assegno salirà 600 euro (pari al 60%) se staccherà a 69 anni e un mese e l’economia riprenderà a tirare. Se invece fa carriera (retribuzione finale di duemila euro netti il mese), la copertura della pensione si ridurrà drasticamente: si arriva a un vitalizio di 743 euro netti al mese (il 37% dell’ultimo reddito) se l’economia italiana non cresce, e a 858 (il 43%) se invece riprende a tirare. Per un quarantenne e un cinquantenne cambiano i numeri, ma non il quadro complessivo: anche se si staccherà più tardi, la coperta della pensione sarà sempre più corta.
Per avere una proiezione personalizzata si può utilizzare il Calcolatore della pensione, realizzato dalla stessa Progetica e disponibile su www.corriere.it. «Nel contributivo, che ormai riguarda almeno in parte tutti i lavoratori, non si può parlare di calcolo della pensione – spiega Andrea Carbone -. Ma solo di una stima che dev’essere aggiornata nel tempo; sia il quando sia il quanto sono soggetti infatti a numerose variabili. Il primo parametro è elativo all’età di pensionamento: nel 2016 e nel 2019, su base triennale, e poi ogni due anni a partire dal 2021, i requisiti di età e quello contributivo per la pensione anticipata verranno adeguati all’incremento della speranza di vita». Nelle simulazioni sono stati utilizzati due scenari dell’Istat: il primo più conservativo e il secondo (basato sui dati storici degli ultimi trent’anni), che prevede invece un maggiore allungamento della vita media e, quindi, in parallelo, dell’età pensionabile. Nel sistema contributivo, inoltre, anche l’importo dell’assegno può variare in misura considerevole. «Le due variabili che incidono sono l’andamento del Pil e della carriera – spiega Carbone -. Nelle tabelle le colonne mostrano che cosa succede in un’Italia in semi-recessione, con crescita zero, o in una in ripresa, in cui l’economia cresce invece dell’1% l’anno; un’ipotesi ben poco probabile adesso». Le righe mostrano invece come cambia la pensione in funzione della carriera. «Fare carriera è un bene – sottolinea Carbone – ma con il calcolo contributivo la pensione non riesce a riflettere a sufficienza gli incrementi di salario. Negli esempi riportati, per un lavoratore dipendente raddoppiare lo stipendio può significare passare a un rapporto fra pensione e retribuzione inferiore al 40%».