• Home »
  • Esteri »
  • Libia, inizia l’incursione terrestre delle forze egiziane contro l’Isis. Gentiloni: “Serve una risoluzione politica”

Libia, inizia l’incursione terrestre delle forze egiziane contro l’Isis. Gentiloni: “Serve una risoluzione politica”

Libia, inizia l’incursione terrestre delle forze egiziane contro l’Isis. Gentiloni: “Serve una risoluzione politica”

Escalation nella guerra egiziana all’Isis in Libia. Forze speciali del Cairo hanno compiuto un’incursione terrestre a Derna, la città dichiaratasi Califfato dell’Isis nell’est del Paese. Lo riferiscono fonti libiche ed egiziane concordanti. Ieri media egiziani e uno saudita avevano riferito che, dopo i raid aerei l’Egitto stava, prendendo in considerazione attacchi di terra. In particolare era stata evocata la «task force 999», un’unità speciale per operazioni internazionali, da inviare in coordinamento con le forze di sicurezza libiche

LA DIPLOMAZIA

La partita libica si sta allargando, e i rappresentanti della politica italiana stanno lavorando per coinvolgere il più possibile altri e autorevoli attori internazionali. Ieri sera il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ha avuto un colloquio telefonico con il sottosegretario americano John Kerry e stamattina era alla Camera per un’informativa urgente al Parlamento.

IN PARLAMENTO

«È evidente la saldatura tra gruppi locale e il Daesh», esordisce il ministro, ricordando che l’origine dei problemi va cercata negli errori passati. «Nonostante alcune tappe incoraggianti come l’elezioni del 2012, la Libia è rimasta esposta alle divisioni tra fazioni, e la sua grande ricchezza è oggi contesa tra gruppi contrapposti». Oggi, ricorda il ministro, ci troviamo con un Paese che ha un vastissimo territorio, istituzioni fallite e una destabilizzazione che potrebbe allargarsi ad altre aree. Per questo «il tempo non è infinito» e l’unica soluzione «è politica».

GLI SBARCHI

Il numero degli sbarchi dal 1 gennaio a metà febbraio è stato di 5.302 rispetto ai 3.338 dello stesso periodo dello scorso anno», spiega Gentiloni numeri alla mano. «Non era mare nostrum ad attirare i migranti ma il dramma su cui speculano bande di criminali. Non possiamo voltarci dall’altra parte lasciandoli al loro destino, non sarebbe degno dell’umanità e della civiltà che hanno fatto grande l’Italia». Il ministro chiude un aiuto concreto all’Europa, e si rivolge alla comunità internazionale chiedendo di allargare gli sforzi politico-diplomatici: «Dalla riunione del Consiglio di sicurezza di oggi ci attendiamo la presa di coscienza al Palazzo di vetro della necessità di raddoppiare gli sforzi per favorire il dialogo politico».

LA VIA DIPLOMATICA

Mentre l’Egitto continua a martellare le postazioni dell’Isis in Libia ed esorta la comunità internazionale ad unirsi alla sua campagna aerea, la diplomazia internazionale si muove. Ieri sera Matteo Renzi ha sentito il francese Hollande. Oggi è il giorno del vertice Onu. Il mondo si siede attorno a un tavolo per cercare di trovare una via d’uscita diplomatica. L’Occidente si mostra unito su una soluzione «politica» del conflitto. L’iniziativa per la riunione di oggi è stata presa dalla Francia, sostenuta dall’Egitto, che ieri ha chiesto un intervento internazionale per bocca del presidente Al Sisi, in visita a Parigi. Restano diversi nodi da sciogliere, però, a partire per esempio dalla richiesta egiziana di togliere l’embargo, che favorirebbe solo la fazione di Tobruk e non aiuterebbe la riconciliazione nazionale.

SUL CAMPO

Il tutto mentre – secondo al Jazeera – le milizie di Misurata, vicine al governo islamista di Tripoli non riconosciuto dalla comunità internazionale, starebbero assediando con la “brigata 166” Sirte, la città conquistata di recente dallo Stato islamico, per liberarla dai jihadisti. In un Paese spaccato tra l’esecutivo di Tobruk, riconosciuto internazionalmente, e le milizie filo-islamiche che controllano Tripoli, vicine ai Fratelli Musulmani, il pressing di Europa e Stati Uniti ovviamente è su queste ultime. Con un avvertimento preciso che non esclude l’ipotesi di un intervento militare: «Non sarà consentito a chi tenta di impedire il processo politico di condannare il Paese al caos e all’estremismo. Costoro – sottolineano nella dichiarazione congiunta Europa e Usa – saranno ritenuti responsabili dal popolo libico e dalla comunità internazionale per le loro azioni».

RAID SU DERNA

Ora gli occhi sono puntati sull’iniziativa dell’inviato dell’Onu Bernardino Leon, che nei prossimi giorni convocherà delle riunioni tra le fazioni in vista di un governo di unità nazionale contro la minaccia dello Stato islamico. Di fronte agli orrori dei jihadisti – ieri si è avuta notizia di 45 persone arse vive in Iraq – un rapido intervento della comunità internazionale «sotto l’ombrello dell’Onu» è stato sollecitato anche dal Vaticano, per bocca del cardinale Parolin. Sul terreno intanto, dopo le tre ondate di incursioni di ieri come immediata «vendetta» allo sgozzamento dei 21 copti, gli F-16 egiziani e aerei libici hanno compiuto altri raid a inizio giornata contro postazioni dell’Isis a Derna, la città dell’est capitale del Califfato libico. I morti sarebbero «decine». In maniera evocativa, i caccia hanno colpito fra l’altro il «Tribunale della Sharia», istituito dai jihadisti libici affiliatisi allo Stato islamico di Al Baghdadi.

LO STOP DI HAMAS

Dopo l’uno-due, Sisi si è appellato ad una risoluzione dell’Onu che autorizzi una coalizione internazionale ad intervenire: «Non c’è altra scelta», ha avvertito il capo di Stato egiziano. Ma un intervento rischierebbe di incendiare ulteriormente il Medio Oriente, dove per esempio Hamas ha messo in guardia che eventuali ingerenze in Libia «da parte di alcuni Paesi come l’Italia» sarebbero considerate «una nuova Crociata contro Paesi arabi e musulmani». E nonostante il pressing diplomatico, nell’ovest del Paese esercito di Tobruk e milizie islamiste Fajr continuano a combattersi, coinvolgendo fra l’altro l’aeroporto di Zintan, bombardato da aerei delle milizie. L’Isis intanto si è ritirato dalla cittadina desertica di Nawfaliya, a 145 km da Sirte, dove starebbe trattenendo la popolazione per avere scudi umani contro la riconquista annunciata dalle milizie islamiche «moderate» Fajr.