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Rivoluzione in Vaticano, Papa Francesco rinuncia al segreto bancario. I soldi verranno tassati in Italia. Da controllare oltre 16mila conti

Rivoluzione in Vaticano, Papa Francesco rinuncia al segreto bancario. I soldi verranno tassati in Italia. Da controllare oltre 16mila conti

Dopo l’annuncio di Matteo Renzi nell’intervista a l’Espresso sulle trattative in corso col Vaticano per la firma di un protocollo d’intesa, il 6 marzo il direttore della sala stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi ha dichiarato che sono in corso «interlocuzioni» con l’Italia per andare verso il traguardo di «una più ampia e completa trasparenza e dello scambio di informazioni ai fini fiscali».

CONTATTI DIPLOMATICI STATO-CHIESA

Come spiegato il 7 marzo da la Repubblica, dal Tesoro gli uomini del ministro Pier Carlo Padoan hanno parlato di colloqui e contatti diplomatici e hanno aggiunto che il dossier-Vaticano è nelle mani della direttrice del Dipartimento per le politiche fiscali, Fabrizia Lapecorella.
L’intesa, hanno assicurato fonti del governo, è a un buon stato di definizione e potrebbe essere firmata entro il mese di marzo.

Una vera rivoluzione spinta dalla voglia di trasparenza impressa da papa Bergoglio all’assetto economico e finanziario della Santa Sede che promette di lasciare alle spalle anni oscuri della Prima Repubblica, quando lo Ior veniva utilizzato per il transito di denaro nero e come sponda per il parcheggio di tangenti.
Si completa quindi il processo di riforma già iniziato da Joseph Ratzinger che per sorvegliare lo Ior aveva creato una sorta di «banca centrale», l’Aif, l’Autorità di vigilanza finanziaria.

LOTTA ALL’EVASIONE

Se, come pare, l’intesa andrà in porto, per il governo italiano si tratterebbe del quarto accordo messo a segno sullo scambio di informazioni bancarie ai fini fiscali. In rapida successione sono state firmate intese con Svizzera, Principato di Monaco e Liechtenstein.
A costringere questi Paesi, considerati a tutti gli effetti «paradisi fiscali», a giungere a patti con l’Italia è stato soprattutto il protocollo europeo del G5, firmato a Berlino nell’autunno 2014, cui hanno aderito a oggi 91 Paesi, comprese Svizzera ed altre nazioni ‘opache’ sul piano fiscale, che scatterà nel 2017 e costringerà tutti i partecipanti a mettere in pratica lo scambio delle informazioni bancarie su richiesta dell’amministrazione fiscale del Paese a caccia di evasori.
A gennaio l’Italia ha varato una norma, la cosiddetta voluntary disclosure, che facilita il rientro dei capitali dai «paradisi fiscali» garantendo il dimezzamento delle sanzioni e uno scudo sui reati fiscali.
La norma prevede che i Paesi, pronti a firmare un’intesa bilaterale con l’Italia per lo scambio di informazioni prima del 2017, possono essere cancellati dalla black list, l’elenco dei «cattivi» fiscali e possono passare nella «white list».
Per l’Italia si tratterà di un incasso che viene valutato come gettito netto in 5 miliardi.

TRA VATICANO E ITALIA

La strada che si è convenuta con il Vaticano nasce del clima di riforma voluto da Bergoglio e avrà caratteristiche tecniche diverse. L’idea sarebbe quella di «trasportare» il Vaticano all’interno dello schema delle intese internazionali.
Il primo obiettivo, che trova conferma negli ambienti italiani, è quello di siglare un protocollo sulla doppia imposizione fiscale, come avviene con quasi tutti i Paesi, in modo che chi investe o deposita i propri denari nella Città del Vaticano debba pagare le tasse anche nel Paese di residenza, cioè in Italia.

SCAMBIO DI INFORMAZIONI BANCARIE

L’altro passo, che deriverebbe dall’adesione allo schema dei protocolli europei del G5, sarebbe quello di garantire lo scambio automatico di informazioni bancarie su semplice richiesta dell’Agenzia delle entrate e non più affidandosi alle difficili rogatorie a caccia di capitali italiani nascosti al fisco attraverso lo Ior.

DA CONTROLLARE ANCORA 16 MILA CONTI

Nessuno è in grado di fare stime: chi osserva le vicende al di là del Tevere ricorda che dopo l’intervento della società di revisione Promontory sono stati cancellati circa 3 mila conti correnti sospetti.
Ma sul totale dei restanti 16 mila, che oggi possono essere intestati solo a dipendenti, ecclesiastici, enti religiosi e alle Case generalizie degli ordini religiosi che gestiscono grandi flussi di denaro dal e verso molte aree del mondo, ci possono essere posizioni a rischio.