Tangenti, non solo grandi opere: il 35% delle piccole imprese costrette a ‘chiedere favori’ per avere appalti
Non solo bustarelle. Ma posti di lavoro per figli e nipoti, agevolazioni, ristrutturazioni gratuite di appartamenti privati. Lo schema che emerge per i grandi appalti, da Mafia Capitale all’inchiesta che mette oggi sotto i riflettori il ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi, è ormai ampiamente diffuso anche nel tessuto delle piccole e medie imprese. E’ quanto emerge da un’indagine dell’Adnkronos: il 35% delle pmi interpellate tramite diverse associazioni d’impresa, circa mille distribuite su tutto il territorio nazionale, ammette di aver pagato una tangente, sotto una qualsiasi forma.
E tra le imprese che ammettono di aver praticato la corruzione 3 su 4 indicano forme ‘alternative’ al tradizionale pagamento in denaro. L’amministrazione pubblica che deve concedere permessi o semplicemente aggiudicare una gara può essere ‘comprata’ anche con favori personali: posti di lavoro per figli e nipoti, agevolazioni, ristrutturazioni gratuite di appartamenti privati. Le piccole imprese si sentono costrette dal ‘sistema’ a mettere in conto un’attività parallela a quella ufficiale, indispensabile per ottenere il timbro giusto o anche, semplicemente, per accedere a una commessa.
A descrivere la portata del fenomeno c’è infatti un altro dato particolarmente eloquente
Più della metà delle imprese interpellate (51%) sostiene di aver rifiutato almeno una richiesta di denaro per concludere un affare nel corso dell’ultimo anno. Altrettanto allarmante il dato che riguarda le mancate denunce: delle imprese che hanno ricevuto richieste di denaro, meno del 10% si è rivolta alle forze dell’ordine. Chiara, dunque, la rassegnazione degli imprenditori di fronte a quello che viene percepito come un ‘sistema consolidato’: il 55% delle imprese interpellate pensano che le proprie possibilità di chiudere affari sia influenzata da tangenti pagate da altri.
Social