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L’Italia diventa sempre più asiatica: la Cina compra Pirelli, parte una operazione da 7 miliardi

L’Italia diventa sempre più asiatica: la Cina compra Pirelli, parte una operazione da 7 miliardi

La Pirelli sta per diventare cinese. Un’icona dell’industria italiana nel mondo, l’azienda degli pneumatici nata 142 anni fa nella Milano della rivoluzione industriale, capitale dell’imprenditoria, avrà presto Chem-China – una conglomerata a controllo statale – come socio di maggioranza assoluta. “Entro il weekend si chiude. Ci sono ancora dei passi da fare” ha detto il presidente di Pirelli, Marco Tronchetti Provera, in serata. Ai giornalisti che chiedevano se Pirelli resterà italiana ha risposto: “Finché non ci saranno i comunicati non posso dire nulla”.

I cinesi dal canto loro vogliono il 51% della nuova catena di controllo: “Vogliono consolidare la partecipazione, che non sarà finanziaria, ma industriale”, spiegano i loro emissari. E per farlo sono disposti a investire 3,5 miliardi di euro nella catena societaria del gruppo, che sarà sottoposta al quarto riassetto in quattro anni per fare spazio ai nuovi soci e dar modo ai precedenti di monetizzare parte delle quote. Un riassetto che prevede l’offerta pubblica di acquisto su Pirelli e il suo probabile ritiro dalla quotazione a Piazza Affari, dopo 93 anni. In Borsa Pirelli ci potrebbe tornare poi, solo con la parte pneumatici per auto (più redditizia), mentre le gomme per l’industria potrebbe unirsi ad Aeolus Tyre, controllata dei cinesi nel segmento.

I dettagli dell’operazione non sono ancora formalizzati: la convocazione dei cda dei soci della Bicocca è iniziata ieri sera con Nuove Partecipazioni (che raggruppa le quote di Tronchetti e dei sodali italiani), Unicredit e Intesa Sanpaolo. Si prosegue oggi e domani con gli altri soci Rosneft e Camfin, così lunedì l’azione riaprirà con informazioni ufficiali e simmetriche. Ma da ieri erano giunte le ammissioni alle voci circolanti da giorni. Ha rotto il ghiaccio la Consob, che dopo un giovedì di silenzio mentre l’azione Pirelli saliva del 3%, ieri mattina ha chiesto all’azienda un commento: “Ad oggi Pirelli non ha ricevuto alcuna formale comunicazione di un lancio di un’Opa”, è stata la risposta.

Più loquace la risposta alla Commissione fornita da Camfin, holding del 26% dei titoli Pirelli: “Camfin e i suoi soci comunicano che sono in corso trattative con un partner industriale internazionale per un’operazione sulla partecipazione in Pirelli, finalizzata a garantire stabilità, autonomia e continuità nel percorso di crescita del gruppo, che manterrebbe gli headquarter in Italia”. Tra gli elementi in limatura, “il trasferimento dell’intera partecipazione Camfin al prezzo di euro 15 per azione a una società italiana di nuova costituzione, controllata dal partner industriale internazionale con contestuale reinvestimento di Camfin in detta società”, e a seguire “un’offerta pubblica di acquisto sulla totalità delle azioni Pirelli”. Un secondo comunicato Camfin specificava, a scanso di cattive sorprese, che “l’Opa verrebbe lanciata sulla totalità di Pirelli al medesimo prezzo di 15 euro per azione”. A tutti 15 euro, per totali 7 miliardi: ma in due tempi diversi. Prima ai soci Camfin, che avranno 1,9 miliardi e pare ne reinvestiranno una metà per restare azionisti di peso. Poi il mercato, che ieri tra rotondi scambi anticipava gli sviluppi e ha portato Pirelli, sui massimi dagli anni ’90, a 15,23 euro (+2,2%). Senza la cedola da staccare a giugno siamo già ai prezzi dell’Opa ventura.

Tra i temi più delicati c’è la tenuta dell’azionariato nostrano

“Ciò che conta è che la centralità di Pirelli resti in Italia, vedremo – ha detto il viceministro dello sviluppo economico, Claudio De Vincenti – . L’arrivo di capitali esteri in sé è un bene. E il 2015 è iniziato alla grande come mostrano Hitachi e Lucchini”. Nel rarefarsi degli investimenti nostrani, con la crisi sono finite sotto il controllo estero Parmalat, Edison, Bulgari, Valentino, Alitalia, Ansaldo Sts, Rinascente, Coin. E il denaro cinese ha accumulato quote del 2% di Enel, Eni, Fca, Saipem, Mediobanca, Generali, Telecom, Prysmian, il 35% di Cdp Reti che controlla Terna e Snam, il 40% di Ansaldo Energia. Per questo saranno importanti, nei patti parasociali in stesura, le prospettive di radicamento della Pirelli “italiana”: a quanto si apprende il management sarà confermato 5 anni, la sede e le attività di ricerca & sviluppo resteranno in Italia, e sono ipotizzabili clausole di riacquisto e vendita a tutela dei soci che stanno per diluirsi. Ma il noto slogan “la potenza è nulla senza controllo” da qui in avanti suonerà più cinese che altro.