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All’Accademia di Santa Cecilia una prima assoluta di Sciarrino e il “Magnificat” di Bach, diretti da Sir (Dott. honoris causa) Antonio Pappano

All’Accademia di Santa Cecilia una prima assoluta di Sciarrino e il “Magnificat” di Bach, diretti da Sir (Dott. honoris causa) Antonio Pappano
Di Sergio Prodigo.

Sabato 28 marzo (con repliche il 29 e il 30) al Parco della Musica l’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, diretta da Antonio Pappano e con la straordinaria partecipazione del soprano Barbara Hannigan, ha – nella prima parte del concerto – eseguito in prima assoluta una “Cantata” di Salvatore Sciarrino, “La nuova Euridice secondo Rilke” per voce e orchestra (commissionata dall’Accademia); la seconda parte è stata dedicata a Bach e all’eccelso “Magnificat” per soli, coro e orchestra BWV 243, con l’ausilio del Coro e delle Voci Bianche dell’Accademia, egregiamente preparati da Ciro Visco e con la compresenza del soprano Amanda Forsythe, del soprano e contralto Josè Maria Lo Monaco, del tenore Paolo Fanale e del baritono Christian Senn.
Prima di addentrarci nella sommaria analisi dei brani proposti e discettare della loro interpretazione, appare naturale che si chiosi il “dott.” indicato nella titolazione e riferito ad Antonio Pappano. Ebbene, lo scorso martedì 24 presso l’Auditorium della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Tor Vergata è stata conferita al Nostro la Laurea Magistrale “honoris causa” in Musica e Spettacolo. Un folto uditorio, la commissione preposta (il rettore Giuseppe Novelli, il Prof. Franco Salvatori, direttore del Dipartimento di Scienze storiche, il Prof. Giorgio Sanguinetti, docente di drammaturgia musicale, la Prof.ssa Teresa Maria Gialdroni, docente di Metodologia della ricerca musicale e Storia della musica, la Prof.ssa Marina Formica, docente di Storia Moderna, la Prof.ssa Serena Facci, docente di Etnomusicologia, il Prof. Giorgio Adamo, docente di Etnomusicologia e studi di popular music, la Prof.ssa Donatella Gavrilovich, docente di Storia del teatro e dello spettacolo, la Prof.ssa Donatella Orecchia, docente di Storia del teatro e dello spettacolo, il Prof. Francesco Lo Coco, docente di Ematologia e il Prof. Giovanni Spagnoletti, docente di Storia del cinema italiano) e qualificati esponenti della cultura musicale hanno assistito alla memorabile cerimonia e alla sua irripetibile contestualità: l’esaustiva “laudatio” proferita dal prof. Giorgio Sanguinetti, la splendida “lectio magistralis” (una “masterclass” di canto, “vocalità ed espressività nell’opera italiana”, impartita a due eccellenti artisti – il tenore Paolo Fanale e il soprano Alice Wissel, accompagnati dal pianista Marco Forgione – e incentrata su tre celeberrime “Arie” di Donizetti e Puccini), reiteratamente contrassegnata dal plauso degli astanti, e la finale consacrazione accademica con la consegna della prestigiosa pergamena.
Dopo la doverosa digressione, particolarmente atta a significare il valore della cultura musicale italiana contemporanea (regolarmente misconosciuta e ignorata da quel mondo politico e istituzionale che avrebbe dovuto presenziare e autorevolmente intervenire ad un evento di tale peso e rilevanza!), si deve assolvere l’arduo compito di illustrare il menzionato lavoro di Salvatore Sciarrino (uno dei maggiori compositori italiani della contemporaneità), “La nuova Euridice secondo Rilke”, mirabilmente interpretato dalla “sublimità” di Barbara Hannigan e dall’eccellenza dell’orchestra ceciliana, magistralmente diretti da Pappano.
Arduo, appunto, un intento che non può prescindere dal testo, tratto da “Die Sonette an Orpheus” di Rainer Maria Rilke, uno dei capolavori della letteratura tedesca del Novecento; non mancherebbero certamente aggettivazioni inerenti a stile e contenuti della sua opera poetica: simbolista, panteistica, espressionistica, nietzschiana, non tali tuttavia da rappresentare quella Weltanschauung, altrimenti definita dallo stesso poeta come “Hiersein”, ossia quell’“l’essere qui e ora” che tende a esprimere una sorta di radicalismo, che nega la realtà esterna e che postula l’immanenza del presente al di fuori della dimensione temporale. In tale connettivo esistenziale il mito di Orfeo travalica ogni possibile riferimento attributivo e si muta in “praetextum” per una ininterrotta monodia che Sciarrino innesta su cangianti strutture timbriche emergenti o affioranti da quel silenzio ancestrale per cui e da cui s’origina l’espressione sonora.

Salvatore Sciarrino

Così non s’intendono morfologie armoniche ravvisabili se non aggregazioni di spazi accordali ricorrenti, sovente generate e percepite come scaturigini di soffi e brusii di fiati o di fruscii, glissati e armonici di archi: è un diverso mondo fonico “in fieri” nel quale le impressioni sensibili e le sorgenti auditive si avvertono come un sottile gioco linguistico che può o deve avvalersi di altre forme enunciative. Difficili e complesse si rivelano la ricezione e la rapida assimilazione in assenza di possibili identificazioni formali, ma l’ordito narrativo ne trae indubbio giovamento per la riemersione nel reale dello stesso mito, fino ad un naturale seppur inatteso epilogo: un’altra poesia di Rilke, “An die Musik”, suggella a guisa di “inno” catartico l’anabasi dagli inferi e forse parafrasa nella finale dissolvenza quanto il poeta attribuiva alle opere d’arte, ossia l’espressione della solitudine infinita.
Ora occorrerebbero particolari circonlocuzioni per rappresentare le difficoltà esecutive del brano, poiché oltre la tecnica tradizionale e la bravura devono possedersi grandi doti di analisi interpretativa e specifici tecnicismi fuori dal comune. Ci si dovrebbe astenere da particolari iperboli, ma quanto ha palesato quel fenomeno di versatilità, perfezione e virtuosismo vocale che è, a livello internazionale, il soprano Barbara Hannigan va certamente di là da ogni più fervida o fantasiosa formulazione: una voce fuori dal tempo e profondamente compenetrata nel contesto compositivo, quasi il suo io narrante tenda, nello specifico contestuale, ad assimilarsi e fondersi con l’atto creativo. Similmente di eccezionale maestria e professionalità s’è rivelata l’ineccepibile performance esibita dall’orchestra, pur ridotta per esigenze di partitura nelle file degli archi, ma la direzione di Sir Pappano ha saputo perfettamente rendere il composito e problematico linguaggio di Sciarrino e, nel contempo, coinvolgere l’attento pubblico ceciliano che, al termine, ha riservato un’ampia messe di applausi al compositore e agli interpreti.
Nella seconda parte del concerto la proposizione “Magnificat” bachiano ha rappresentato e significato non certo l’antitesi semantica, semasiologica e semiotica fra opposte forme di espressione musicale, quanto piuttosto – come ha premesso lo stesso Pappano nella suo breve ma intenso commento introduttivo – il senso del divenire estetico, formale e lessicale delle forme d’arte in una sorta di ideale dimensione extratemporale. Tale opera (per soli, coro misto a 5, coro di voci bianche e orchestra) costituisce uno dei vertici della produzione sacra del genio di Eisenach: composta negli anni 1728-31 e basata sul testo latino del “Canticum Mariae”, è articolata in dodici sezioni, tre a organico completo (il “Magnificat” iniziale, il “Fecit potentiam” centrale e il “Gloria” finale per coro, due flauti, due oboi d’amore, tre trombe, timpani, archi e continuo) e nove in varie combinazioni vocalistrumentali (“Et exsultavit” per Soprano, archi e continuo; “Quia respexit” per soprano, oboe d’amore e continuo; “Omnes generationes” per coro, due flauti, due oboi d’amore, archi e continuo; “Quia fecit mihi magna” per basso e continuo; “Et misericordia” per contralto, tenore, due flauti, archi e continuo; “Deposuit potentes” per tenore, violini e continuo; “Esurientes” per contralto, due flauti e continuo; “Suscepit Israel” per coro di voci bianche, due oboi d’amore e continuo; “Sicut locutus est” per coro e continuo).
Magnifica (si passi pure l’implicita allitterazione) s’è manifestata e dimostrata l’interpretazione del capolavoro di Bach da parte dei solisti (il soprano e contralto Josè Maria Lo Monaco, il tenore Paolo Fanale, il baritono Christian Senn e, soprattutto, il soprano Amanda Forsythe), dei cori e dell’orchestra, magnificamente (con reiterata allitterazione) diretti da Antonio Pappano: grandi, entusiastici e prolungati gli applausi e le ovazioni finali del pubblico.