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Accademia S.Cecilia, di scena Martha Algerich leggenda del pianismo internazionale diretta da Yuri Termikanov

Accademia S.Cecilia, di scena Martha Algerich leggenda del pianismo internazionale diretta da Yuri Termikanov

(di Sergio Prodigo) Il concerto dell’Accademia di Santa Cecilia – lo scorso sabato 11 aprile (con repliche il 13 e il 14) al Parco della Musica – deve essere definito o semplicemente chiosato come uno degli eventi musicali più memorabili della stagione, poiché nobilitato dalla straordinaria presenza della sempre “immensa” Argerich e dalla (non inattesa) partecipazione all’accadimento del nostro Presidente onorario, Giorgio Napolitano (accolto al suo ingresso in platea con larga e spontanea messe d’applausi), contraddistinto da una magnifica performance dell’orchestra magistral-mente diretta da Yuri Temirkanov e impreziosito, infine, sia da un variegato e polimorfo (in base ai relativi stilemi) programma (dedicato a tre autori di tre diversi con-testi storico-estetici, Haydn, Dvořák e Šostakovič) sia da una “oceanica” cornice di pubblico.
In apertura, tuttavia, la levità e la lineare modularità della “Sinfonia” n. 94 in sol maggiore di Haydn, iconico agalma del classicismo viennese: composta nel 1791 nel corso del primo soggiorno londinese del compositore austriaco, appartiene al celebre ciclo delle dodici sinfonie (appunto) londinesi e s’avvale di due complementari titolazioni (bilingui), “mit dem Paukenschlag” e “The Surprise”. In effetti, la “sorpresa” si concreta nel “colpo di timpani” (“in fortissimo”) che s’intende nel secondo movimen-to (un leggiadro “Andante” con variazioni), ma l’insolita costante dello strumento percussivo tende a rinvenirsi e propalarsi, unitamente a frequenti alternanze di sono-rità cangianti e subitanee, anche negli altri movimenti (soprattutto nel primo, “Adagio cantabile – Vivace assai” e nel quarto, “Finale: Allegro di molto”; meno nell’aereo e veloce “Minuetto”). Ineccepibile, sia formalmente sia stilisticamente è apparsa l’interpretazione che ne ha offerto Temirkanov, anche in grazia della perfezione ese-cutiva palesata dall’orchestra ceciliana.
Di seguito, l’attesissimo “Concerto n. 1” per pianoforte, orchestra d’archi e tromba concertante, opera giovanile di Dmitrij Šostakovič: scritto nel 1933, sembra assecon-dare in tutti e quattro i suoi movimenti (“Allegretto moderato”, “Allegro vivace”, “Lento”, “Moderato” e “Allegro con brio”) una certa tendenza ad un eclettismo com-posito, marcato da sarcasmi, ironie e liricità, e non alieno dall’attingere materiali te-matici da citazioni e autocitazioni, espresse sovente quasi con una sorta di autocompiacimento o di necessaria divagazione da rigidità formali o da accademismi forzosi. Del resto, va debitamente rammentato come le costrizioni ideologiche condizionassero fortemente gran parte della produzione sinfonica del compositore russo, che dové assumere giocoforza atteggiamenti stilistici misti, mascherando sovente arditezze e digressioni con l’uso “ragionato” del tonalismo allargato: proprio in un breve frammento, desumibile dal primo movimento del “Concerto”, si potrebbero evidenziare passaggi bitonali, espressi solo linearmente. Di là da altre considerazioni sulla natura, a volte dissacrante, della stessa contestualità compositiva, tutto l’insieme del brano offre momenti di particolare godibilità, esaltati dal naturale protagonismo dello stru-mento solista e dalla malcelata subordinazione della tromba “obbligata”, cui spetta il compito di commentare, talvolta sardonicamente o caricaturalmente, le varie fraseologie di un pianoforte sempre onusto di gravosi funambolismi e incessanti virtuosismi.
Per degnamente illustrare l’esecuzione donata ad un pubblico estasiato da Martha Argerich occorrono una pletora di aggettivazioni: fenomenale, travolgente, entusia-smante, stupefacente, appassionante, trascinante, e quant’altri sinonimici possibilmente analoghi o atti a esprimere e descrivere un simile atto performativo! Basterà solo rilevare ed evidenziare come i lunghissimi minuti di frenetici applausi e di osannanti acclamazioni abbiano indotto la solista e il direttore a bissare la parte finale dell’ultimo movimento!
Nella seconda parte del concerto, dopo i due estremi (sempre stilistici) del Classicismo e del Novecento storico, il Tardoromanticismo di Antonín Dvořák con la proposizione della “Sinfonia n. 8” in sol maggiore op. 88: tale mirabile lavoro, composto nell’autunno del 1889 ed eseguito a Praga il 2 febbraio dell’anno seguente (sotto la direzione dell’autore), va certamente annoverato fra le composizioni più note ed eseguite del compositore boemo, secondo per popolarità soltanto alla “gemella” e susseguente “Sinfonia n. 9” (la celeberrima “Dal nuovo mondo”). Al riguardo, apparirebbe naturale operare un confronto fra i due brani, rimarcandone le profonde difformità lessicali e, quasi, una diversa concezione dell’ambito strutturale: da una parte (la n. 9) una forte, suadente e seducente caratterizzazione tematica, venata di rinvii a presunte tradizioni folkloriche d’oltreoceano, dall’altra (la n.8) una costante ricerca del bello estetico in sé (di brahmsiana discendenza) a livello melodico e l’assenza di strutturalismi formali se non come ausiliari supporti ad un incessante fluire motivico. Già nel primo movimento (“Allegro con brio”) si assiste a reiterate alternanze di momenti concitati e impetuosi e di ampie spazialità idilliache, generate dalla bucolica grazia del primo tema, preannunciato dal flauto: la conseguente assenza di sviluppi sembra compensarsi proprio con la sistematica enunciazione dei tematismi derivati.

Il secondo movimento (“Adagio”), nel quale è forse lecito ravvisare una larvata reminiscenza di un precedente pezzo pianistico (“Il vecchio castello” dai “Quadri poetici” op. 85), ugualmente pone a contrasto due diverse episodicità espressive: un tema sommesso ed elegiaco, affidato agli archi, e un susseguirsi di figurazioni staccate e turbolente di timpani e ottoni. La particolare cura della strumentazione s’avverte nel terzo tempo, lo “Scherzo” (“Allegretto grazioso”), che colloca sempre su piani contrastanti un’iniziale danza a guisa di valzer e un agile “Trio”, screziato da echi popolareschi, ma si accentua nel conclusivo “Allegro ma non troppo”, che offre una inusuale se-quenza tritematica, non scevra di elementi contrastivi: dopo una sorta di fanfara introduttiva, si susseguono una solenne e maestosa declamazione ieratica, affidata agli archi e ai legni gravi, una flebile idea motivica del flauto e una sorta di duetto di clarinetti sostenuto da archi scuri; dipoi nel finale la sintesi del materiale espresso con la ricorrenza del tematismo principale e la reminiscenza ciclica del primo movimento.
L’interpretazione di Temirkanov ha fedelmente reso quanto sommariamente de-scritto sui contenuti formali della “Sinfonia”, accentuando ed esaltando il suo connaturato significante estetico, attraverso un’accurata e analitica lettura testuale, coadiuvato dalla professionalità e dalla valenza artistica di un’orchestra sempre in grado di esprimersi ai più alti livelli. Lo straripante pubblico non ha lesinato anche al termine di tale perfetta esecuzione applausi e ovazioni.