Pubblico e privato: le nuove vie d’uscita

Sono tante le novità intervenute, nella legislatura in corso, per le pensioni delle lavoratrici. La prima misura ha riguardato il trattamento di vecchiaia per le dipendenti delle pubbliche amministrazioni. La partita dell’età pensionabile delle lavoratrici del pubblico impiego si è giocata in un arco temporale parecchio breve a confronto dei soliti tempi lunghi a cui siamo abituati. Già nel 2009 la Corte di Giustizia aveva chiesto al nostro Paese di allineare l’età pensionabile di vecchiaia delle donne alle dipendenze della pubblica amministrazione con quella dei loro colleghi maschi, ritenendo che la differenza prefigurasse una discriminazione di genere. Poiché era impensabile portare gli uomini a 60 anni, occorreva elevare a 65 il requisito anagrafico delle donne. Il Governo aveva predisposto un percorso graduale che sarebbe terminato nel 2018. Nessuno immaginava che la Ue potesse chiedere un allineamento più rapido. Il ministro Sacconi si era recato in Lussemburgo per incontrare la Commissaria europea che aveva imposto all’Italia di rompere gli indugi e di elevare entro il 1° gennaio 2012 l’età pensionabile di vecchiaia a 65 anni. E l’aveva trovata irremovibile, al punto di minacciare sanzioni per il nostro Paese. Pochi giorni dopo il Governo aveva deliberato in tal senso. Di tutto ciò a noi italiani probabilmente era sfuggito qualche passaggio importante. La Vice Presidente Reding non è una crudele nemica delle donne. Ha battuto i pugni sul tavolo nella convinzione di rendere finalmente giustizia alle lavoratrici italiane che dipendono dalla pubblica amministrazione, ritenendo intollerabile che la potesse durare fino al 2018. Da noi, tale decisione ha sollevato un pandemonio. Ormai, nel BelPaese, la è talmente entrata a far parte del patrimonio genetico che trattiamo sempre con un pizzico di compianto gli uomini e le donne a cui è richiesto di lavorare un po’ più a lungo. Andando avanti nel tempo e con l’incalzare delle manovre di risanamento, si è posto il problema di parificare anche l’età di vecchiaia tra uomini e donne nei settori privati. Dapprima si è individuato un percorso molto lento, con scalini frequenti ma estremamente bassi (nell’ordine di pochi mesi ognuno), tanto che i 65 anni sarebbero stati raggiunti dalle donne dei settori privati nel 2026. Poi vi è stata una piccola anticipazione fino al 2022. Infine è arrivato il . L’equiparazione dell’età delle donne a quella degli uomini (66 anni per i dipendenti e 66 anni e sei mesi per gli autonomi) avviene entro il 2018, sempre tenendo conto della variazione della speranza di vita. Nel 2022 sarà raggiunto il requisito dei 67 anni, in anticipo rispetto a quanto promesso in sede Ue dal precedente esecutivo. Quanto all’accesso “anticipato” alla pensione esso è consentito con un’anzianità di 41 anni e un mese per le donne (di 42 anni e un mese per gli uomini), anch’essa indicizzata alla longevità. Si prevedono penalizzazioni percentuali (1% per i due anni più vicini e il 2% per ogni anno dopo i primi due) rispetto agli anni mancanti all’età di 62 da applicare sull’importo della pensione. In sede di conversione del decreto alla Camera è stata introdotta una modifica. Per le donne che, fino al 2017, potranno far valere un’anzianità effettiva di 41 anni (più i mesi derivanti dall’aggancio automatico all’attesa di vita), includendo nel computo la contribuzione figurativa relativa al periodo di assenza obbligatoria per maternità, alla cig ordinaria, alla malattia ed infortunio, potranno andare in quiescenza a prescindere dal requisito anagrafico, senza dover subire alcuna penalizzazione. In via transitoria, per le lavoratrici dipendenti private che matureranno il diritto a pensione, secondo le regole previgenti, entro il 2012 (ovvero le donne nate nel 1952), sono previsti requisiti anagrafici inferiori (all’età di 64 anni), se potranno far valere almeno 20 anni di versamenti.
Vanno ricordati altri due aspetti importanti. Le donne che hanno maturato i previgenti requisiti entro il 2011, mantengono il diritto di usufruirne (incluso il periodo della , altrimenti soppresso nel nuovo regime) anche in futuro. Le lavoratrici, poi, fino a tutto il 2015, possono andare in pensione a 57 anni di età con 35 di contributi purchè sottopongano il loro trattamento al calcolo contributivo.