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Riapre il cuircuito del motomondiale. In pista Valentino Rossi l’uomo d’oro del nostro sport

(di Gianpaolo Santoro) Riapre il circuito del motomondiale. Si parte a Pasqua da Losail, la scintillante pista del Qatar. Sarà un inizio triste, mancherà il sorriso travolgente di Simoncelli. Ma questa è la vita. I cuori azzurri, quest’anno, batteranno tutti per Valentino Rossi, l’uomo d’oro dello sport italiano. Il professionista più pagato. Ed il fatto che sul tetto degli ingaggi non ci sia un calciatore deve far riflettere. Soprattutto in un Paese malato di calcio come il nostro, ed ancora di più se si tiene conto che in ben 114 paesi su 182, i più ricchi sono sempre i calciatori, gli eroi del gol.
Ma Valentino Rossi, è un’altra cosa. Sfugge alle statistiche come agli avversari, the Doctor (nel 2005 quando era poco più che un ragazzino ricevette la laurea ad honorem in “Comunicazione e pubblicità per le organizzazioni”, dalla facoltà di Sociologia dell’Università di Urbino “Carlo Bo”) è una leggenda.
Rossi è l’unico pilota al mondo ad aver vinto in quattro classi diverse (125-250-500 e motoGp) e ad essersi aggiudicato 37 Gran Premi prima di compiere 23 anni.
Re Moto Quattordici milioni e trecentomila euro, Valentino stacca tutti anche nell’ingaggio (al secondo posto il cestista Danilo Gallinari con 8 milioni che milita nel Denver Nuggets, squadra del massimo campionato professionistico statunitense, la National Basketball Association). Poi ci sono le sponsorizzazioni, le pubblicità e tanto altro ancora. Cifre da capogiro che triplicano almeno l’ingaggio. Rossi tutto quello che tocca, diventa oro. Re Moto, altro che Re Mida.
Il mito di Valentino non ha rivali e non conosce crisi. E non è un fenomeno, legato strettamente ai risultati. Anche in assenza di titoli mondiali, come nelle ultime maledette stagioni, Rossi risulta essere un enorme valore aggiunto, dentro e fuori i circuiti. Maurizio Arrivabene, uno dei maggiori esperti mondiali di marketing e comunicazione, responsabile corse della Philip Morris International, main sponsor della Ducati e della Ferrari non ha dubbi. “Avere Rossi è un lusso per qualsiasi team. Se l’anno scorso le cose non sono andate troppo bene, di certo non è da addebitare al pilota ma alla moto che si è rivelata poco competitiva. Noi crediamo nel progetto-Ducati, ed ancora di più in Rossi. Ed è per questo che nonostante le delusioni della scorsa stagione abbiamo deciso di continuare la nostra partnership con la casa di Borgo Panigale con convinzione e con gioia“.
Per la società di ricerche Stageup la sola presenza di Valentino vale un 25 per cento in più in merchandising e sponsor. “Il fatturato – ha spiegato Giovanni Palazzi, presidente della Stageup- generato dai prodotti a marchio Ducati, quando è arrivato Rossi era all’incirca di 80 milioni di euro: oggi, nonostante le poche soddisfazioni in pista, siamo su cifre ben diverse…”
Valentino Italia Estroverso, brillante, imprevedibile, simpatico ma, soprattutto, amato. E con il tricolore dipinto in fronte. Rossi è l’Italia. E non è un caso che nel 2010 gli sia stato conferito il Winning Italy Award (Winning italy è un osservatorio – gli americani direbbero un gatekeeper – che seleziona e segnala le eccellenze italiane) per il suo contributo alla valorizzazione dell’immagine del Paese nel mondo. Nell’Italia delle fazioni sportive, quella di Bartali e Coppi tanto per intenderci, ad un certo punto esplose anche la rivalità Rossi-Biagi, amici-nemici dentro e fuori le piste. Ma durò poco, Biagi venne travolto dalla bravura, la personalità ed il carisma di Valentino, tanto da abbandonare il circuito della motoGp per andare a cercare fortuna in Superbike. Neanche una brutta vicenda di tasse di (nel 2008 il pilota ha raggiunto un accordo con l’Agenzia delle Entrate patteggiando il pagamento di 35 milioni di euro) ha incrinato il suo rapporto d’amore con il pubblico. A the Doctor si perdona tutto.
Rossi & la Rossa Una domenica di nove anni fa, il Paese che impazzisce per i motori, visse il suo giorno da leone. Era il 12 ottobre, il giorno della scoperta dell’America: l’Italia scoprì di avere un grande cuore rosso. Mentre nella Formula uno la Ferrari vinceva a Suzuka il suo quinto mondiale costruttori consecutivo (e Michael Schumacher il suo sesto titolo mondiale) Rossi, a soli 24 anni, a Sepang in Malesia saliva sul gradino più alto del podio festeggiando il suo quinto titolo mondiale, il terzo consecutivo nella classe maggiore. Per molti era una predestinazione.
Valentino e la Ferrari. Rossi e la Rossa. Una favola tutta italiana, anzi tutta emiliana, dove ai box angeli dalla faccia sporca di grasso, meccanici cresciuti spesso per strada ma secondi a nessuno, che non conoscono una parola d’inglese (parlano il dialetto emiliàn-rumagnòl, lingua riconosciuta fra le minoritarie europee ormai fin dal 1981) ma che sono capaci di fare un pit stop in tre secondi, il tempo di un sospiro, un team di lambrusco e piadine, che accudisce la Ferrari di Valentino Rossi: che cosa si può volere in più dalla vita?
I have a dream Inutile negarlo è stato il sogno di un paese. Soprattutto ora che è andata in crisi l’eccellenza del “made in Italy” in pista, ovvero Ducati e Ferrari. Le Rosse più amate d’Italia sono ormai a digiuno di titoli iridati dal 2007, da quando Casey Stoner e Kimi Raikkonen portarono l’alloro a Borgo Panigale e Maranello.
Soprattutto ora (con il licenziamento di Jarno Trulli dalla Caterham) che l’Italia dopo 42 anni non avrà neanche un pilota in formula uno ( e pensare che all’inizio degli anni ’90 un pilota su due era di passaporto italiano). Soprattutto ora che ci si rende conto che sono passati ormai sei anni dall’ultimo Gran Premio vinto da un italiano, Giancarlo Fisichella con la Renault a Sepang e che l’ultimo campione del mondo è stato Alberto Ascari, il rivale di Fangio, con la Ferrari nel 1953. L’altro secolo.
E’ stato il sogno di tutti. E’ il sogno ancora di Graziano Rossi, ex pilota di motociclismo, il padre di Valentino. “Non ho ancora perso la speranza di vedere Valentino in formula uno con la Ferrari. E’ troppo vecchio ormai dicono in molti e in linea generale potrebbero avere ragione. Ma lui non è un uomo normale, è un marziano. Imparerebbe in pochi mesi, lui è nato per correre… Due o quattro ruote, non fa differenza. Del resto ha cominciato con i go kart e solo dopo è passato alle moto..”
Predestinato Secondo Claudio Costa, una sorta di papà di tutti i motociclisti, il fondatore della “clinica mobile”, la struttura medica di pronto intervento per soccorrere i piloti infortunati durante le gare motociclistiche, quella notte di Carnevale del 1979, quando nacque Valentino, nel cielo di Urbino si scatenarono fulmini e saette, uno spettacolo insolito e straordinario. “Sembrava l’annunciazione…” ironizzò qualcuno, la nascita di un “bambino speciale”. Speciale forse no, ma particolare di certo. Quale bambino ha avuto prima il motorino della bicicletta? Eppure pilota di motociclismo per caso, perché Graziano, incredibile ma vero, dopo le tante cadute che l’avevano portato al ritiro dalle corse aveva paura delle moto, voleva indirizzare Valentino direttamente alle quattro ruote. Ma affidiamo il racconto alle parole di Valentino. “Quando avevo cinque anni, il “Grazia” era arrivato a casa con un kart 60 centimetri cubi. Andavamo a girare nei parcheggi della zona industriale, tra cui quello della “Chiusa di Ginestreto”, che è vicino alla strada che da Tavullia scende verso Pesaro. Mi ricordo che riempiva con l’acqua le lattine della benzina, le metteva nel parcheggio costruendo una sorta di pista. Però la cosa più pericolosa, e naturalmente più divertente, che facevo in quel periodo era con una macchinina a pedali, fatta come una vecchia Lotus formula 1, quella colorata di verde, che il Grazia legava dietro a un motorino. Lui, naturalmente, guidava il motorino, io la macchina e con la fune mi tirava per insegnarmi a fare i traversi, che erano davvero “belli” dato che le gomme della “Lotus” erano di plastica e si scivolava via che era una favola… La prima gara l’ho disputata con i kart, a sei anni. Avevamo una Ritmo “autocarro”, caricavamo il kart e andavamo in pista: al debutto ho fatto nono. Correvamo nelle Marche, nei circuiti cittadini e con i kart sono andato avanti per tanto tempo. Andavo forte, dopo qualche stagione vinsi il campionato regionale conquistandomi il diritto di partecipare alla finale italiana, dove c’erano i primi cinque di ogni regione. Arrivai quinto assoluto. Un bel risultato. Dovevo cambiare categoria, passare dai 60 ai 100 centimetri cubi. Ma per passare di categoria, ci chiesero 100 milioni delle vecchie lire (circa 50.000 euro attuali, ndr) per una stagione: e chi ce li dava a noi 100 milioni? Fu così che dirottammo sulle minimoto. E per me non fu un dispiacere, perché mi divertivo, molto di più, mi divertivo un casino…”