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Trattativa Stato-Mafia, Napolitano ai giudici di Palermo: “Non ho da riferire alcuna conoscenza utile al processo”

Trattativa Stato-Mafia, Napolitano ai giudici di Palermo: “Non ho da riferire alcuna conoscenza utile al processo”

“Non ho da riferire alcuna conoscenza utile al processo, come sarei ben lieto di poter fare se davvero ne avessi da riferire”. E’ quanto scrive il presidente della RepubblicaGiorgio Napolitano nella lettera inviata lo scorso 31 ottobre al presidente della Corte d’Assise di Palermo, Alfredo Montalto, che presiede il processo per la trattativa tra Stato e mafia.

Era stata la procura di Palermo, nelle scorse udienze, a chiedere la citazione del capo dello Stato nel processo per riferire su una lettera ricevuta dal suo consigliere giudirico, Loris D’Ambrosio, il 18 giugno 2012, nella quale D’Ambrosio, morto un mese dopo per un infarto, scriveva al capo dello Stato di essere considerato un “ingenuo e utile scriba di cose utili a fungere da scudo per indicibili accordi”. D’Ambrosio si riferiva ad episodi nel periodo “dal 1989 al 1993″.

La lettera è stata depositata solo lunedì mattina presso la cancelleria della Corte d’Assise di Palermo, come annunciato nell’ultima udienza dal presidente Alfredo Montalto. “L’essenziale è di non avere io, in alcun modo, ricevuto dal dottor D’Ambrosio qualsiasi ragguaglio o specificazione circa le ‘ipotesi’, solo ‘ipotesi’ da lui enucleate”, scrive ancora Napolitano nella lettera. Poi, il capo dello Stato, riferendosi ancora al presidente della Corte d’Assise Montalto scrive: “Dei problemi relativi alle modalità dell’eventuale mia testimonianza la Corte da lei presieduta è per altro certamente consapevole come ha, nell’ordinanza del 17 ottobre, dimostrato di esserlo, dei ‘limiti contenutistici’ da osservare ai sensi della Corte Costituzionale del 4 dicembre 2012″.

Il presidente della Corte d’Assise Montalto ammettendo la deposizione del capo dello Stato al processo per la trattativa aveva fissato dei ‘paletti’ proprio relativi alle circostanze che Napolitano avrebbe appreso da D’Ambrosio solo limitatamente alla lettera. Ma Napolitano, come emerge dalla missiva inviata alla Corte d’Assise esclude di avere ottenuto indicazioni da Loris D’Ambrosio anche sul “vivo timore a cui questi ha fatto il generico riferimento nella drammatica lettera del 18 giugno”.

Napolitano scrive ancora: “Né io avevo modo e motivo, neppure riservatamente, di interrogarlo su quel passaggio della sua lettera. Né mai, data la natura dell’ufficio ricoperto dal dottor D’Ambrosio durante il mio mandato, come anche durante il mandato del presidente Ciampi, ebbi occasione di intrattenermi con lui su vicende del passato, relative ad anni nei quali non lo conoscevo ed esercitavo funzioni pubbliche del tutto estranee a qualsiasi responsabilità di elaborazione e gestione di normative antimafia”. Il capo dello Statosarà ascoltato nella data che verrà scelta durante il processo al Quirinale, come previsto dalla legge.

Il presidente della Repubblica chiede che il presidente Montalto “possa valutare nel corso del dibattimento il reale contributo che le mie dichiarazioni, sulle circostanze in relazione alle quali è stata ammessa la testimonianza, potrebbero effettivamente arrecare all’accertamento processuale in corso”.

Il capo dello Stato, nella missiva, elenca diverse circostanze. Innanzitutto ricorda che “la lettera indirizzatami il 18 giugno 2012 dal dottor Loris D’Ambrosio, con la quale egli volle rimettermi l’incarico (da me conferitogli il 18 maggio 2006) di Consigliere per gli Affari dell’Amministrazione della giustizia, è stata, per mia libera iniziativa, pubblicata nella raccolta di miei interventi del periodo 2006-2012 ‘sulla giustizia’. Quella mia iniziativa, di certo non dovuta, corrispose ad un intento di massima trasparenza nel documentare e onorare il travaglio umano e morale del consigliere D’Ambrosio, provocato dalla diffusione, sulla stampa, di testi registrati (non si sa quanto correttamente e integralmente riprodotti) di conversazioni telefoniche con il senatore Mancino, intercettate dalla Procura di Palermo e da cui vengono ricavati elementi di grave sospetto su comportamenti tenuti dal mio collaboratore”.

Sono diverse le intercettazioni telefoniche registrate dagli inquirenti tra l’ex presidente del Senato Nicola Mancino, imputato nel processo per la trattativa tra Stato e mafia per falsa testimonianza, e il consigliere D’Ambrosio. Inoltre nella lettera inviata da Napolitano alla Corte d’Assise di Palermo, il capo dello Stato parlando della missiva inviatagli dal consigliere D’Ambrosio prima di morire “era caratterizzata da profonda ‘amarezza e sgomento’ e direi anche indignazione per interpretazioni (dello scambio di telefonate con il senatore Mancino) e più generali, arbitrarie insinuazioni che colpivano la costante linearità della condotta tenuta dal dottor D’Ambrosio, in modo particolare rispetto all’impegno dello Stato nella lotta contro la mafia”. “Il giorno seguente, il 19 giugno 2012 -scrive Napolitano- lo invitai nel mio studio alla presenza del segretario generale della presidenza della Repubblica per tentate di rasserenarlo e per confermargli la mia stima e fiducia e farlo anche per iscritto, consegnandogli la lettera con la quale lo invitavo a mantenere l’incarico di mio consigliere”.