Esodati, quale verità? Deroghe e accordi: le possibili vie d’uscita

Con uno spregiudicato intento scandalistico alcuni programmi televisivi ed alcuni quotidiani hanno messo in luce (in verità la questione era nota) una preoccupante conseguenza della riforma delle pensioni: il rischio che alcune centinaia di migliaia di persone rimangano, per anni, senza lavoro, senza ammortizzatori sociali e senza trattamento di pensione. La storia va raccontata con precisione e correttezza. La riforma e’ intervenuta in modo severo sui requisiti del pensionamento, specie per quanto riguarda l’età pensionabile nei casi di pensionamento anticipato. E correttamente il Governo si è posto il problema di salvaguardare, garantendo loro il diritto di andare in quiescenza con i previgenti requisiti, quanti hanno perso o non hanno più il lavoro. Così sono state individuate alcune deroghe a favore delle seguenti categorie: i lavoratori in mobilità; quelli in prosecuzione volontaria e quelli inseriti in fondi di solidarietà (una sorta di prepensionamento a carico delle banche). Una volta approvato, con il voto di fiducia, il decreto Salva Italia, ci si è accorti che c’era un’altra categoria di lavoratori in grave difficoltà: quelli che avevano sottoscritto degli accordi di esodo con i loro datori, negoziando extraliquidazioni a copertura del periodo che li separava dall’accesso alle pensione (che, a seguito delle nuove regole, si allontanava nel tempo). Sotto la pressione dei partiti, si è affrontata la questione, impropriamente, nel decreto Milleproroghe, includendo i c.d. esodati (con l’indicazione di alcuni criteri di individuazione da perfezionare con un decreto ministeriale entro giugno) nel dei derogati, senza implementare la copertura finanziaria prevista, informalmente rapportata a 65mila casi. Recentemente, in seguito ad una fuga di notizie (che, sia l’Inps, sia il ministero non hanno smentito), pare che nel complesso i (per mobilità, prosecuzione volontaria, solidarietà, esodi) siano più di 350mila. Questi lavoratori risultano coperti da un quadro normativo che assicura loro di poter avvalersi delle previgenti regole (l’allarmismo, quindi, è in parte ingiustificato), ma hanno uno stanziamento finanziario sicuramente insufficiente. La legge prevede, a fronte di tale evenienza, che la copertura venga assicurata tramite un incremento della contribuzione per la disoccupazione e gli altri ammortizzatori sociali. Il Governo si è riservato di provvedere in qualche modo nel decreto di giugno, ma la situazione è complessa sul piano politico. Di ammortizzatori sociali, infatti, si parla anche sul tavolo del mercato del lavoro. Ecco allora la trappola: non si può escludere che l’incremento delle aliquote contributive, anziché servire al riordino degli ammortizzatori sociali, venga dirottato a coprire il buco creato di. Ci auguriamo che da questa strettoia l’esecutivo sia capace di uscire e vigileremo perché ciò avvenga. Un altro punto merita di essere chiarito. I soliti sfascisti (ovvero quelli che lavorano per lo sfascio delle istituzioni e del Paese) accusano scandalizzati l’Inps di non avere, dopo quattro mesi dal varo della legge, i dati sui derogati e comunque di non comunicarli. In proposito alcune precisazioni vanno fatte per correttezza. Premesso che l’Inps è tenuto ad informare il Governo e ad evitare che si crei ancor più allarme sociale diffondendo dati che possono essere strumentalizzati, non è agevole neanche per un Istituto efficiente e dotato di un know how informativo che può fare invidia al Pentagono, venire a capo in breve tempo di un monitoraggio così complesso di dati e situazioni che non è agevole reperire. Per lavorare i dati bisogna averli a disposizione. Ci riferiamo soprattutto al caso dei c.d. esodati: molti di loro hanno sottoscritto accordi individuali a seguito di intese sindacali, ma tanti altri sono in possesso di transazioni private avvenute in giudizio o secondo altre modalità sancite dal codice di procedura civile. Non esiste una banca dati che le recepisca e le raccolga. Si possono fare delle stime sulla base delle domande di prosecuzione volontaria; ma non tutti gli esodati hanno chiesto la prosecuzione volontaria. E non tutti quelli in prosecuzione volontaria sono anche esodati. Per la legge, infatti, non basta aver smesso di lavorare, ma averlo fatto in conseguenza di un patto incentivato con il datore. Ciò apre a riflessioni su possibili allargamenti della platea dei tutelati, destinati comunque a fare i conti con la disponibilità di risorse e con le modalità di prova. Si dovranno fare delle stime per potersi assicurare una copertura finanziaria agibile. Poi si dovrà per forza di cose valutare le domande e la documentazione fornita con le stesse. E per farlo si dovranno attendere i criteri emanati dal Governo nel decreto di giugno. Come si vede si tratta di un’operazione molto complessa. Rimane solo da chiedersi perché il Governo, invece di infilarsi in questa trappola, non abbia pensato di gestire la transizione in termini di maggiore gradualità. Nelle ultime ore il sottosegretario Gianfranco Polillo ha posto un nuovo problema che ha aperto un nuovo fronte di polemiche: annullare, non si capisce bene con quale mezzo, gli accordi di esodo in modo che gli interessati possano tornare al lavoro. La cosa non sembra proponibile in termini generali, ma la proposta non e’ completamente infondata. Esiste un principio generale del diritto grazie al quale e’ possibile annullare i contratti nel caso di loro eccessiva onerosità sopravvenuta. Ovviamente occorrerebbe promuovere un giudizio. Non sarebbe inopportuno procedere in questo modo, quanto meno per sollecitare una soluzione legislativa, in qualche grande impresa coinvolta in diversi casi di esodo.