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Bersani vuole il Pd a Palazzo Chigi, Vendola lo gela e Prodi lo bacchetta sulla legge elettorale

Non ci sarà più un Romano Prodi. Né Pier Ferdinando Casini, o chi per lui, pensi di trattare l’alleanza con il Pd mettendo sul piatto la candidatura a palazzo Chigi. Stavolta, “il candidato premier tocca a noi”. Parola di Pier Luigi Bersani. Non dice ‘tocca a me’ perché nella ditta, si sa, si sceglie insieme. Certo, però, è una bella accelerazione in vista del voto. Quando sarà. E se sarà prima del previsto, il segretario del Pd pensa bene di disporre per tempo le pedine, mentre gli avversari annaspano nel vuoto di una proposta da ricostruire.
La carta calata da Bersani cade nel silenzio, ufficiale, del partito. Ma c’è da scommettere che alla mossa del segreterio non mancheranno ‘contromosse’ all’indomani dei ballottaggi. C’è già un coordinamento dei big convocato per fare il punto. E il piatto forte sarà la strategia delle alleanze.
Se Bersani, come ieri Massimo D’Alema, insiste sullo schema del centrosinistra allargato ai moderati, oggi Walter Veltroni suggerisce una soluzione ispirata alla vocazione maggioritaria. “Casini ha tutt’altro disegno strategico rispetto al nostro. Noi dobbiamo puntare su noi stessi”, è la visione di Veltroni. Puntare a una proposta riformista che intercetti la domanda di cambiamento dei grillini e quella di innovazione dell’elettorato “che aveva creduto a Berlusconi o al centro”. Sul versante dei potenziali alleati Antonio Di Pietro non dice no alla richiesta di leadership del Pd, mentre è gelo con Sel. E anche con Romano Prodi oggi c’è stato un botta e risposta sulla riforma elettorale. Il Professore ha redarguito Bersani sul modello tedesco. La segreteria ribatte: la nostra proposta è il doppio turno.
Dunque, un esponente democratico candidato a palazzo Chigi. Questa la condizione messa sul piatto da Bersani. Un’autocandidatura? Il diretto interessato non lo esclude a patto che sia una scelta condivisa. “Penso che si lavora in collettivo, che le leadership sono pro-tempore, che devono essere scelte, non si scelgono da sole: questa è la mia idea, senza tirarmi indietro: sono disponibile solo in questa logica”. Il segretario del Pd non teme che la sua condizione possa pregiudicare un accordo con Casini. Perché alla fine della fiera, i centristi solo al Pd potranno guardare se vogliono governare il Paese con un polo democratico: “Quando la dialettica sarà tra un polo democratico e uno che dà risposte regressive ognuno si assumerà le sue responsabilità. Il Pd vuole allargare ma sa di dover essere il baricentro di una proposta alternativa”, dice Bersani.
Veltroni non ci crede. E non crede utile la rincorsa ai centristi e al vecchio schema centrosinistra più moderati. “Sono sempre stato convinto -spiega l’ex segretario – che una proposta innovativa possa innescare una grande mobilita’ elettorale. Casini ha tutt’altro disegno strategico rispetto al nostro. Noi dobbiamo puntare su noi stessi, avere fiducia nella possibilità che il riformismo risponda sia alla domanda di radicale rinnovamento che si esprime con il Movimento 5 stelle, sia alla domanda di innovazione di un elettorato che aveva creduto a Berlusconi o al centro”.
Bersani mette il cappello su palazzo Chigi e la cosa provoca differenti reazioni nei potenziali alleati per il governo del Paese. Antonio Di Pietro potrebbe starci. “Mi metto nei panni di Bersani e lo comprendo e lo capisco. A noi dell’Idv interessano i contenuti e non mettiamo, preventivamente, bastoni tra le ruote alle candidature”, dice il leader dell’Idv. Quello che sta a cuore a Di Pietro, e non passa giorno senza ripeterlo, è dare sostanza il prima possibile alla coalizione di centrosinistra. Se poi si potrà allargare ai centristi, si vedrà. “Per ora partiamo da quello che c’è e che ha riscosso un buon risultato alle amministrative”.
Diversa la reazione di Nichi Vendola che forse vede nella mossa di Bersani una sconfessione delle primarie. Del resto quel “tocca a noi” non suona esattamente come ‘facciamo le primarie e vediamo chi vince’. Piuttosto che “concentrarci ora sulla figura del leader”, attacca Vendola, “è molto importante capire se il centrosinistra c’è. Il Pd si dia una mossa: c’è il centrosinistra? Allora diciamolo, e diciamo cosa è il centrosinistra. Il nostro programma è come quello di Hollande in Francia? Se è così sono pronto a sottoscriverlo. Se invece il nostro programma agli italiani è un ibrido incomprensibile, ambiguo e opaco, diciamolo. Perché se sarà così io non ci starò”.
Toni polemici anche con Romano Prodi. In un’intervista a L’Espresso, il Professore ha bacchettato Bersani sulla legge elettorale: “Come fa il mio amico Bersani a dire che vuole fare come Hollande, guardare ad alleanze di centro e di sinistra, con la legge elettorale che lui ha proposto e che sostiene?”, ovvero il tedesco. Pronta replica dalla segreteria del Pd con Davide Zoggia: “Il presidente Prodi sa bene che la proposta di riforma elettorale approvata dalla Assemblea nazionale del Pd prevede il doppio turno di collegio. Naturalmente, sarebbe già stata approvata e operativa se il Pd avesse la maggioranza in Parlamento e una ancora più vasta maggioranza l’avesse condivisa. Purtroppo, come sa il presidente, non è così”.